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venerdì, 19 Aprile, 2024

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Da Trento al mondo, storie di emigrazione come Bene comune

A Trento un Patto di collaborazione per tutelare e valorizzare la memoria della comunità attraverso il racconto di storie di emigrazione trentine

La memoria storica tiene in vita l’umanità. É un Bene comune immateriale e, come tutti i Beni comuni, necessita di cura perché dalla memoria collettiva dipende la qualità del futuro di tutti, a partire dalle singole comunità.

La memoria collettiva è il tema del patto di collaborazione intitolato “Dal Trentino al mondo: storie di emigrazione”, sottoscritto tra il Comune di Trento e l’Associazione Trentini nel Mondo Onlus. Il Patto si pone l’obiettivo principale di sensibilizzare sul tema dell’emigrazione attraverso la collocazione di un manufatto contenente storie di emigrazione trentina da mettere a disposizione di tutta la comunità. Il fenomeno dell’emigrazione di tanti cittadini di Trento nel mondo è una pagina importante della storia trentina. I cittadini attivi di Trento, con la proposta del Patto, hanno individuato nella memoria storica della comunità un Bene comune da tutelare attraverso la conservazione e la valorizzazione di singole storie personali, storie di viaggi e storie di comunità: storie che hanno la forza di connettere e di avvicinare in un unico sentimento di solidarietà i cittadini trentini e favorire la crescita dei legami di comunità.

Il valore della memoria nelle storie dei migranti

Le storie raccolte dall’Associazione sono disponibili anche su un portale dedicato messo a disposizione dei cittadini di Trento sia per la lettura sia per l’invio di nuove proposte. Ecco alcuni passi.

«Ora penso che appartengo a due terre, quella di nascita e quella dove mi hanno accolto con tanto affetto e dove ho formato la mia famiglia; ma sempre avrò il Trentino nel cuore. Ricordo le canzoni di montagna, in casa cucino i cibi trentini per la mia famiglia e a loro piacciono, così come il nostro dialetto trentino. Perciò mi sento una mamma e nonna trentina che ha portato e conserva con sé un po’ della nostra terra in questo paese lontano», si legge nella testimonianza di Enrica Righi emigrata a Montevideo, in Uruguay, a soli 19 anni.

«La fine del lungo viaggio in treno non fu la fine delle mie tribolazioni. Anzi. La speranza di raggiungere mio marito finalmente a “casa mia”, quella speranza che mi aveva dato la forza e il coraggio per affrontare il viaggio, che mi aveva tenuta in piedi fino a destinazione, è svanita brutalmente quando sono giunta a destinazione. […] Siamo arrivati a Maurage Boussoit. Nel campo baracche. Una baracca! Ecco dove avrei abitato! Il campo era enorme: c’erano almeno 200 baracche. Forse anche di più. Ognuna poteva ospitare ben sei famiglie. La delusione è stata così grande che, per riprendermi del tutto, è passato un inverno intero. […] C’erano due stanzette che fungevano da camere da letto e una grande cucina.  I servizi erano fuori, ma ogni baracca aveva il proprio. Mio marito aveva arredato il nostro nido con mobili di occasione. Ci aveva messo tutta la sua buona volontà e…il suo buon gusto», è l’inizio della storia di Pia che negli Anni ’80 ha raggiunto finalmente suo marito in Belgio.

«Il 1940 segnò l’entrata in guerra dell’Italia nella Seconda Guerra Mondiale: gli emigrati italiani non naturalizzati furono considerati “enemy allies” (alleati del nemico, la Germania) e sospetti simpatizzanti fascisti. Vittorio Facchini (“Vic”) dovette scegliere fra due alternative: lavorare per il governo o finire in un campo di concentramento. Fu quindi mandato, per quasi tre anni, a lavorare nel Nuovo Galles del Sud, nei boschi dove si produceva il carbone. Gli anni della guerra furono duri; Vittorio si adoperò per aiutare qualche soldato italiano catturato dagli Alleati e mandato in Australia dal governo inglese come prigioniero. Tra di loro c’era anche un trentino, che Vittorio conosceva sin dall’infanzia a Gardolo: Silvio Pegoretti. Vittorio, clandestinamente, riuscì a passargli libri, cibo e sigarette», si legge tra le righe che raccontano la storia di Vittorio e della sua emigrazione in Australia.

Come si intuisce da questi pochi passi, le storie di migrazione del Patto trentino raccontano difficoltà, sofferenza, speranza, nostalgia della propria terra e dei propri affetti, ma anche felicità nell’avercela fatta, nonostante tutto. Partire e abbandonare le proprie radici per sperare in un ‘domani’ possibilmente migliore, sicuramente diverso. È questo, possiamo dire, il tratto comune che unisce tutte le storie di emigrazione nel mondo. Storie che nascono per motivi di lavoro, come i tanti giovani italiani costretti alla fuga all’estero per costruire un futuro stabile e realizzarsi dopo anni di studi. Storie che nascono dalla povertà assoluta, come quelle di chi è disposto a rischiare la propria vita per raggiungere in mare l’Europa. Storie che nascono per fuggire alla morte, come quelle di chi nasce, senza volerlo, lì dove cadono ogni giorno missili e bombe.

L’emigrazione unisce il mondo. E tutelare, come Bene comune, la memoria di ogni viaggio – qualsiasi esso sia – implica legame, unione e condivisione tra chi oggi è chiamato a scrivere le pagine future di un’unica storia di comunità.

 

 Articolo di di Andrea Palumbo per labsus.org

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