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martedì, 23 Aprile, 2024

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Thaci e i suoi fratelli d’armi: eroi in patria, criminali all’Aja

Vi proponiamo l’articolo pubblicato su Il Fatto Quotidiano nel quale si fa un approfondimento del caso Thaçi e la aziona criminale di cui è stato accusato. 

Il Tribunale speciale dell’Aja ha confermato, a titolo definitivo, il 30 novembre scorso, l’incriminazione per crimini di guerra e crimini contro l’umanità di Hashim Thaçi, l’ex leader politico dell’Esercito di liberazione del Kosovo (Uck), e di altre tre persone, Kadri Veseli, ex capo dello Shik, il servizio di intelligence dell’Uck, ora deputato e leader del Partito Democratico del Kosovo (Pdk), Jakup Krasniqi, ex portavoce dell’Uck ed ex presidente del Parlamento del Kosovo, e Rexhep Selimi, deputato ed ex dirigente dell’Uck. La notizia incombeva come una spada di Damocle sulle teste dei quattro uomini sin dalla fine di giugno, quando le Camere speciali del Kosovo hanno reso noti i capi di accusa.

Thaçi e i suoi ex “compagni d’armi” sono sospettati di aver partecipato a una “azione criminale congiunta” responsabile di almeno 100 omicidi commessi tra il marzo 1998 e il settembre 1999. I tre accusati “attraverso questi crimini, hanno tentato di imporre il loro pieno controllo sul Kosovo, procedendo a intimidazioni illegali, maltrattamenti, violenze e allontanando chiunque venisse considerato un oppositore”, si legge nell’atto di accusa, un testo di più di 200 pagine. “Queste accuse sono del tutto infondate. Mi dichiaro non colpevole”, si è difeso Hashim Thaçi, presentandosi in aula durante la prima udienza al tribunale dell’Aja, il 9 novembre scorso. Senza sorprese, gli altri tre imputati, comparsi a loro volta davanti ai giudici nei giorni seguenti, si sono dichiarati non colpevoli e hanno lasciato la parola ai loro legali, tutti di fama internazionale, anche se non è ancora chiaro chi pagherà i loro onorari. In paesi come la Bosnia-Erzegovina e la Serbia, spesso il denaro dei contribuenti è stato utilizzato per coprire le spese della difesa di criminali di guerra.

In ogni caso, si assiste all’Aja a uno strano gioco delle sedie giudiziario con la presenza, tra le altre cose, di un ex procuratore del Tribunale penale internazionale per l’ex-Jugoslavia (Tpij), questa volta in veste di avvocato.

Si tratta di Andrew Cayley, uno dei legali di Kadri Veseli che, a metà degli anni 2000, aveva portato avanti i processi a diversi membri dell’Uck. Il secondo avvocato dell’ex leader dello Shik è Ben Emmerson, celebre in Kosovo per aver ottenuto due volte l’assoluzione del primo ministro Ramush Haradinaj, comparso davanti al Tpij con l’accusa di crimini di guerra, persecuzione e tortura per gli anni in cui era a capo dell’Uck. Anche gli altri avvocati presenti al processo sono degli habitués della giustizia internazionale, poiché hanno già difeso imputati di Ruanda, Libano o ancora Libia. L’avvocato di Hashim Thaçi non ha esitato ad attaccare le Camere speciali su uno dei punti più delicati di questo processo: i sospetti di traffico di organi che pesano sull’Uck. “Dove sono finite le accuse di furto di organi?”, ha detto Dennis Hooper, sottolineando come questo aspetto era sembrato inizialmente “la ragion d’essere del processo”. L’ex procuratrice generale del Tpij, Carla Del Ponte, aveva sostenuto nel suo libro di memorie, pubblicato nel 2008, che in una “casa gialla” nei pressi del comune di Burrel, nel nord dell’Albania, diversi prigionieri dell’Uck erano stati sottoposti al prelievo di organi, spiegando poi che le era stato impedito di portare avanti le sue indagini. Il Consiglio d’Europa aveva quindi affidato un’inchiesta al senatore svizzero Dick Marty. Il clamoroso rapporto di Marty, approvato all’inizio del 2011, aveva confermato le accuse di Carla Del Ponte e aperto la strada alla creazione di un tribunale speciale incaricato di giudicare i crimini dell’Uck. Tuttavia, questo presunto traffico di organi umani non figura tra le accuse che pesano su Hashim Thaçi e sui suoi ex compagni.

Le Camere speciali hanno comunque confermato tutte le altre: secondo l’atto di accusa, centinaia di persone sono state rapite, interrogate, torturate, picchiate, maltrattate e detenute in una quarantina di siti in Kosovo e nella vicina Albania. Serbi, rom, anche albanesi considerati dei “traditori” o “collaboratori”. Questi crimini sono stati commessi durante il conflitto del 1998-99, ma anche dopo, e nonostante più di 40 mila soldati della Nato fossero di stanza nell’ex provincia serba. “La nostra guerra è stata pulita e giusta”, ha ribadito davanti ai giudici Rexhep Selimi, che vorrebbe che questo processo “dimostri che ci siamo battuti per la libertà”. In attesa che venga fissata la data del processo, i quattro imputati hanno annunciato la loro intenzione di presentare una domanda di liberazione provvisoria.

L’istruttoria sarà condotta da Alan Tieger, il pubblico ministero che ha fatto condannare all’ergastolo dal Tpij, Radovan Karadžic, il capo politico dei serbi di Bosnia durante la guerra. Durante queste prime udienze, Tieger ha detto di essere in possesso di “testimonianze di decine di vittime” e che le avrebbe mostrate pubblicamente. La protezione dei testimoni sarà una delle sfide principali di questo processo: tutti quelli citati dal Tpij contro gli ex leader dell’Uck, si erano o ritrattati una volta alla sbarra o avevano rifiutato di assistere all’udienza. Di fatto, il Tpij aveva finito per moltiplicare le assoluzioni e gli imputati, rilasciati uno dopo l’altro da ogni accusa, si sono guadagnati lo status di “martire” una volta rientrati nel loro paese.

A fine settembre, quando il cerchio si stava stringendo attorno al presidente Thaçi, la potente associazione dei veterani di guerra dell’Uck aveva fatto sparire alcuni fascicoli riservati delle Camere speciali, compromettendo, volontariamente, la sicurezza di alcuni testimoni. L’obiettivo era chiaro: indebolire l’istituzione molto controversa in Kosovo. “I veterani si sono detti: la Corte ritiene di essere in grado di proteggere i suoi testimoni, eppure abbiamo potuto accedere ai loro nomi. È dunque tutta una finta”, ha detto Bekim Blakaj, che dirige l’ufficio del Centro per i diritto umanitario di Pristina. La Ong serbo-kosovara si batte con coraggio dalla metà degli anni 90 per far luce su tutti i crimini di guerra commessi nell’ex Jugoslavia. Tanto più che quel leak di documenti aveva rivelato che pubblici ministeri internazionali avevano sollecitato “la parte serba” a portare avanti le loro proprie investigazioni “contro gli albanesi”. In Kosovo, dove più dei tre quarti della popolazione considera che la Corte speciale non è imparziale, perché prenderebbe di mira esclusivamente i crimini commessi dall’Uck – in teoria quelli dei serbi sono stati giudicati dal Tpij –, tutto ciò ha contribuito a risvegliare l’unità nazionale intorno alla figura di Hashim Thaçi e agli altri ex dirigenti dell’Uck. E anche se le loro formazioni politiche, screditate da molteplici scandali di corruzione, sono uscite sconfitte nell’autunno del 2019 dalle ultime elezioni legislative. “Nessuno può giudicare la nostra lotta”, ha dichiarato il primo ministro Avdullah Hoti, benché sia membro della Ldk, la Lega democratica del Kosovo, il partito creato dall’ex presidente Ibrahim Rugova, principale avversario politico dell’Uck. Sono passati più di vent’anni dai fatti che devono essere giudicati, molti protagonisti sono morti, e molte famiglie di vittime non nascondono il loro scetticismo: le Camere speciali possono riuscire dove il Tpij ha fallito? Se Hashim Thaçi e i suoi ex compagni venissero condannati, l’intera narrazione storica su cui è stato costruito lo Stato più giovane dell’Europa verrebbe messa in discussione. Riconoscere la colpa degli eroi dell’indipendenza manderebbe in frantumi il mito della “guerra patriottica”, che deve essere per forza “giusta e pulita”, avanzato sin dalla fine delle ostilità. “La società kosovara non ha ancora dimostrato di essere capace di affrontare i lati oscuri del suo movimento di liberazione”, ha scritto a ottobre l’editorialista Enver Robelli sul grande quotidiano Koha Ditore. Concludendo: “Coloro che hanno abusato dell’uniforme dell’Uck non dovrebbero aspettarsi di ricevere elogi”.

Traduzione di Luana De Micco

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