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martedì, 16 Aprile, 2024

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L’eredità indiana nella musica romanì

La vita senza musica è solo rumore

(Santino Spinelli)

Per molto tempo addetti ai lavori si sono chiesti se esiste o meno una musica rom adducendo le più disparate teorie. Questa riflessione si è sempre basata su conoscenze limitate e su un’infinità di pregiudizi nei confronti della popolazione romanì. Qualcosa esiste solo quando può essere realmente definita.

Dopo molti anni di ricerche e di lavoro sulla musica espressa dai diversi gruppi della popolazione romanì somo giunto a questa definizione:

La musica romanì va intesa come una musica vocale e strumentale transnazionale, spesso semi-improvvisata, caratterizzata da stili diversi che hanno in comune un’immediatezza comunicativa e ritmi spesso complessi ma fluidi e trascinanti su cui si innescano melodie cariche di pathos o di brillante potenza; sono stili spesso influenzati dal patrimonio musicale orientale, con l’uso, dove il canto o lo strumento lo permette, di quarti di tono e fioriture ornamentali di ogni tipo.1

La musica romanì esiste per coloro i quali la intendono alla maniera romanì esattamente come la lingua e la cultura romanì.

La musica romanì ha tante influenze poiché è entrato in contatto con numerosi patrimoni etno- fonici locali nel lungo viaggio dall’India verso Occidente.

La popolazione romanì ha conservato molti elementi linguistici, musicali e culturali dell’India che si sono certamente trasformati nel tempo e nello spazio ma che sono riusciti ad arrivare fino a noi.

Le comunità romanès in ogni territorio e in ogni nazione hanno sempre praticato l’arte della musica e dello spettacolo fin dalle origini dell’esodo indiano.

Lo stesso etnonimo indiano Ḍom/Ḍomba (da cui deriva Rom/Roma) aveva una connotazione artistica. La musica e lo spettacolo sono una vocazione innata per gli artisti delle varie comunità romanès.

In lingua romanì il termine per indicare un’esecuzione musicale è baśavav (suonare) che molti romanologi fanno derivare dal sanscrito vàśyate (canto degli uccelli).

Troviamo la parola baśavav in tutti i dialetti e in tutte le varianti della lingua romani a sottolineare la centralità della musica nel contesto sociale e culturale di questo popolo millenario.

Dal verbo baśavav otteniamo la forma sostantiva baśavipen che significa “suono, musica” ma anche “esecuzione musicale”. Dallo stesso verbo deriva anche il termine baśaveskero che significa “musicista” (plurale baśavèngre).

Il termine gili (“canto”, plurale gila è praticamente simile al suo omologo indiano gita.

La musica indiana ancora oggi viene eseguita improvvisando e ripetendo le melodie con variazioni continue come fanno i musicisti delle diverse comunità romanès.

Nella concezione musicale indiana una melodia non può essere suonata senza ornamenti e cesellature. Troviamo la stessa concezione nella musica romanì. Al musicista spetta quindi il compito di arricchire la sua melodia e la sua esecuzione musicale in modi sempre nuovi e diversi. In India l’improvvisazione, che può occupare molto tempo, avvolge l’ascoltatore in un’atmosfera magica. Anche nella musica romanì, sempre e in ogni luogo, l’improvvisazione è una parte essenziale che permette al musicista di mostrare virtuosismo e talento in un’esecuzione mai uguale all’altra.

Per costruire il clima espressivo che permette di immergersi nella meditazione sacra, il musicista indiano ha bisogno di tempo: i brani, infatti, sono sempre lunghissimi, con un andamento che agli occidentali può sembrare ripetitivo e quasi “ipnotico”. La bravura del musicista indiano non risiede solo nella sua abilità tecnica ma anche e soprattutto nella sua capacità di coinvolgere il pubblico. La funzione di coinvolgere il pubblico e sedurlo con invenzioni musicali accattivanti e spesso sbalorditive è ancora oggi nelle corde abituali del musicista delle comunità romanès. È una caratteristica rimasta immutata nel tempo e nello spazio: non è importante “cosa” si suona ma il “modo” di “eseguire musica”. È una funzione e un modo di usare la musica che ci è pervenuta indipendentemente dallo stile o dal repertorio suonato. Il “modo” e “cosa” suonare dipende anche per “chi” si suona e “perché” e “quando” farlo. Esistono tre livelli di ambito di esecuzione:

  • ambito di intrattenimento sociale: si suona per i non-rom nelle feste private o pubbliche eseguendo le hit del momento;
  • ambito professionale: si suona nei festival o sale da concerto un repertorio attinto dalla tradizione ma rivolta ai non-rom;
  • ambito familiare: è la musica rivolta ai membri della propria famiglia o della propria comunità; si suona per stare uniti, per comunicare nel proprio interno e per tramandarsi.

ln India si impara a cantare o a suonare uno strumento attraverso uno scambio personale tra il guru (insegnante) e lo studente. L’apprendimento musicale avviene così per imitazione: l’insegnante esegue e lo studente ripete nota per nota, passaggio per passaggio, scala per scala, pezzo per pezzo. È esattamente il metodo adottato e conservato dai musicisti rom all’interno delle loro famiglie in tutto il mondo e che viene praticato ancora oggi.

Nel lungo viaggio dall’India verso Occidente nuovi strumenti, nuove danze, nuove espressioni canore ed musicali entrarono nel bagaglio degli artisti appartenenti alla popolazione romanì.

Continuarono a muoversi in un lento ma costante viaggio verso il Mediterraneo, verso l’Europa e da qui verso il resto del mondo. L’espressione artistica dei musicisti delle diverse comunità romanès era così in continua evoluzione pur mantenendo lo stesso uso e la stessa funzione della musica che è quella che è giunta fino a noi seppure in stili e repertori differenti.

Con la loro comparsa in Europa, le comunità romanès hanno portato il patrimonio artistico e musicale dei Balcani e dell’Oriente con canti intrisi di melismi, melodie originali, ritmi particolari, poliritmie insolite, nuovi strumenti e danze sinuose e provocanti. Questo patrimonio artistico si è poi ulteriormente modificato e arricchito con l’incontro con il patrimonio etnofonico dei diversi Paesi europei generando gli stili che oggi conosciamo come flamenco, jazz manouche, musica balcanica, musica dell’Est Europa, csardas e verbunkos in cui l’apporto romanès è forte e incisivo. Gli artisti di origine indiana portarono così in Europa anche le proprie scale musicali che in seguito dovettero adattare all’accordatura del sistema temperato equabile occidentale. Il risultato furono la nascita di scale particolari con diverse varianti sia di modo minore che di modo maggiore che ancora esistono e che sono praticate anche nella contemporaneità.

L’eredità indiana è rintracciabile in alcune scale che i Rom turchi e dei Balcani usano nelle loro esecuzioni. La moderna scala del modo maggiore Rom è infatti molto simile alla scala bhairava indiana (oggi un po’ modificata rispetto a quella usata 1000 anni fa al tempo dell’esodo delle comunità romanès):

C, Db, E, F#, G, Ab, B, C (DO, REb, MI, FA#, SOL, LAb, SI, DO)

Con la variante:

C, Db, E, F, G, Ab, B, C (DO, REb, MI, FA, SOL, LAb, SI, DO)

La mia composizione La Danza del Beng (diavolo) è basata proprio su quest’ultima scala.

Nei Balcani i Rom usano anche un’altra scala simile a quella indù:

C, Db, Eb, F, G, Ab, Bb, C (DO, REb, MIb, FA, SOL, LAb, SIb, DO).

Quest’ultima scala è affine alla scala frigia occidentale.

La popolazione romanì ha portato in Europa questo patrimonio di conoscenze, di filosofia e di sentimenti di origine indiana, arricchendo e sorprendendo chi li ascoltava di piazza in piazza, di fiera in fiera, di castello in castello, di città in città esibendosi artisticamente e chiedendo un compenso.2 L’arte romaní è figlia di un lungo travaglio (dukhipen) morale e psicologico prima che fisico e non può non avere connotati graffianti, ribelli, tristi, dissonanti e melanconici ma allo stesso tempo si manifesta come una musica viva, trascinante, briosa, piena di ritmo incalzante in quanto riflesso naturale del temperamento romanó. Proprio questo temperamento forte e orgoglioso dell’artista romanó dà “colore” e condiziona le esecuzioni musicali, delineando le linee interpretative principali:

  • il superamento di ogni rigidezza ritmica e metrica, il famoso “rubato”, per mimesi del fluire naturale;

  • le idee melodiche principali sorrette da un costante lirismo effusivo, spesso melanconico, dovuto alle esperienze del viaggio e dal rapporto con la natura e con l’ambiente circostante;

  • la forte indole è alla base di ogni punto nodale verso cui tendono le linee discorsive;

la realizzazione dei propri sentimenti, dei propri valori e delle proprie esperienze rivelati nel carattere di un episodio musicale attraverso la disposizione libera e soggettiva delle più piccole sfumature dinamiche.

Alcuni strumenti hanno origine orientale e indiana che le comunità romanès hanno introdotto in Europa come: la zurna (deriva dallo strumento indiano nagasvarna), il famoso scacciapensieri e il cymbalom (dallo strumento indo-persiano santur).

Il modo di suonare degli artisti delle comunità romanès ha sempre stupito gli ascoltatori di ogni epoca fino ai giorni nostri. Rapporti, cronache e articoli pubblicati in ogni parte del mondo e in tutte le epoche fino ad oggi lo testimoniano, ma pochi sono consapevoli della eredità musicale romanès con quella indiana e orientale.


1 Spinelli, S., 2021, Le verità negate, Meltemi Editore, Milano, pag. 474.

2 Spinelli, S., 2021, “Ascendenze romanès nella musica colta Occidentale” in Romanò Barvalipen a cura di S. Spinelli, Edizioni Menabo, Ortona (Chieti), pag. 23.

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