Quattro capitoli e un epilogo per una tragedia vista finora solo in rari documentari. Nel capitolo che ricorderemo, il primo, una vasta famiglia di profughi siriani, dal nonno ai nipotini, e una afghana sola, còlta, speranzosa, arrivano su un volo di linea in Bielorussia per poi procedere verso la Polonia inoltrandosi in una delle ultime foreste vergini d’Europa. È il 2021. Tutto sembra tranquillo, le hostess offrono rose in volo. Noi sappiamo come andrà a finire. Loro non ne hanno idea. Ma sono i dettagli a colpire. Basso e duro, malgrado il bianco e nero e l’eleganza a tratti perfino eccessiva delle immagini. Mentre gli esuli, siriani, mediorientali. africani, vengono rimpallati di qua e di là dal confine dai militari polacchi e bielorussi, violenze e soprusi si moltiplicano. Estorsioni, bastonate, cellulari e termos spaccati, bottiglie svuotate per sfregio. L’epilogo, a febbraio 2022, ci porta verso altri esuli, stavolta ucraini. Allo scoppio della guerra saranno due milioni i profughi ucraini accolti in Polonia. Questi sono fratelli, non «le armi di Putin e Lukashenko» di cui parla l’ufficiale che addestra le guardie di frontiera. “Green Border” non è sempre così frontale. Per schivare il didascalismo in agguato, Agnieszka Holland, la grande regista polacca (oggi francese) di “Europa, Europa”, “Un prete da uccidere”, “In Darkness”, oltre che di tanti altri film e serie internazionali, moltiplica personaggi e piani di racconto. Tra i volenterosi o indifferenti carnefici di Varsavia spicca un giovane che aspetta una figlia e cerca di nascondere alla moglie il suo vero lavoro. Tra gli attivisti che fanno l’impossibile per aiutare i profughi, due sorelle diverse quanto unite. E soprattutto una psicoterapeuta che saprà unire disagio mentale e emergenza sociale. Qualche scena lascia il segno, altre, comprese quelle meno convenzionali, risultano più “scritte”, sia pure con le migliori intenzioni del mondo. Aggredita dal governo polacco, Holland merita ogni solidarietà. Ma “Green Border” non sempre trova la qualità essenziale a questo genere di film. La semplicità.
Fonte: L’Espresso