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giovedì, 2 Maggio, 2024

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Festival Psicologia: La parola sensibile. Il politicamente corretto e la discriminazione

Nuovo appuntamento del Festival della Psicologia: giovedì 13 alle 18.30 Paola Biondi parlerà con Michela Murgia e Lorenzo Gasparrini di disparità di genere, con l’evento “Generi: punti di svista?”.

Riflettere sulla disparità di genere significa riflettere sugli stereotipi, sui rapporti di potere, sull’ingiustizia, sulla violenza; mettere in luce e poi in discussione assetti che diamo per scontati e che rivelano automatismi che possono impedire al pensiero collettivo di evolversi verso sintesi più evolute.

Indice della forza dell’argomento è la diatriba che in questi giorni sta imperversando sul “politicamente corretto”. Ne parlano trasmissioni televisive, personaggi pubblici, giornalisti, gente comune sui social.

Dibattito che avrebbe bisogno di un respiro vastissimo, ben lontano dagli slogan conclusivi, dalle lapidarie asserzioni, dalle frasi ad effetto che trasudano umori tossici.

Al centro di un discorso – se non virtuoso – sensibile, sarebbe la riflessione sul vantaggio e sul nocumento. Cosa difende il politicamente corretto? Nella storia, i volti della discriminazione sono cambiati. Nell’evoluzione civile e culturale del pensiero umano, è cambiata progressivamente la liceità d’uso di alcuni assunti, precipitati di pregiudizi, fantasie, cristallizzazioni del senso comune, abitudini linguistiche e di pensiero. Non possiamo essere così ingenui da rilegare la parola a sola forma. Il linguaggio è elemento sostanziale del pensiero e così possiamo intenderne la relazione: una continua circolarità che esprime l’interpretazione che facciamo del mondo.

Il contesto, certamente, si fa contenitore dei modi in cui utilizziamo le parole e i pensieri. E dicono i detrattori del politicamente corretto che insorgere e segnalare un uso discriminatorio del linguaggio può mortificare la facoltà di scherzare propria della satira. Che spesso, però, satira non è, quanto piuttosto rozza caricatura di altre persone. Ora, le persone sono essenziali. Appartenere ad un gruppo sociale oggetto di discriminazione può essere un’esperienza psicologica devastante, un’esperienza che può accompagnarsi con il dolore, la rabbia, la vergogna, la solitudine. Questo è il nocumento possibile. Questo è quello che succede quando le parole discriminano, succede che si tenda una linea che definisce chi attacca e chi subisce – una linea che marca una posizione di potere. E appellarsi alla privazione della libertà di dire ciò che si vuole è un procedimento malizioso: ogni forma di civiltà prevede una restrizione di libertà e la prescrizione è necessaria fin quando non si sia assorbito diffusamente un nuovo assetto.

“Conosco a memoria / occhi / che mi cancellano / come un appuntamento indesiderato”, ha scritto la poetessa Audre Lorde, parlando della discriminazione vissuta, lei nera, lesbica e madre, in una società razzista e omofoba. Parlando della sua vita. La discriminazione è una questione politica ed esistenziale. Il discorso sul politicamente corretto, la riflessione che ne scaturisce se non lo liquidiamo come un’insensata esagerazione, è una delle leve che spinge ad un necessario cambiamento di cultura.

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