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La storia di Vittoria Nenni “Vivà” ad Auschwitz

Il 29 maggio 1945, Pietro Nenni appuntò sul suo diario una notizia che mai avrebbe voluto scrivere: “Una lettera di Saragat a De Gasperi conferma la notizia della morte di Vittoria. Ho cercato di dominare il mio schianto e di mettermi in contatto con De Gasperi che però era al Consiglio dei ministri”. Appena finita la riunione, De Gasperi si diresse a piedi verso la sede dell’Avanti! e “in quel breve tratto pensai che cosa un padre (aveva tre figlie, ndr.) potesse dire a un altro padre. A furia di pensare arrivai alla porta, feci la scala, arrivai all’ufficio: aveva già capito tutto. Ci trovammo abbracciati, a piangere assieme”.

Così inizia l’articolo sulla Stampa scritto da Federico Fornaro, inviato della testata che ci riassume in poche righe chi era Vittoria Nenni.

Vittoria, soprannominata Vivà, era la terza delle quattro figlie di Nenni e di Carmen Emiliani.
Vivà perse la vita il 15 luglio 1943 nel campo di sterminio nazista di Auschwitz-Birkenau dopo giorni di trattamenti disumani.

Antonio Tedesco, direttore scientifico della Fondazione Nenni, ne ricostruisce la vita e il tragico epilogo nel libro Vittoria Nenni – n. 31635 di Auschwitz.

Vittoria era una giovane donna italiana, nata ad Ancona il 31 ottobre 1915 quando il padre era al fronte, partito volontario da convinto interventista repubblicano, durante la guerra scelse di combattere a fianco dei francesi contro gli occupanti nazisti e i collaborazionisti.
Il 31 ottobre 1926, Mussolini uscì illeso da un attentato a Bologna e Vittoria, di ritorno da scuola, si ritrovò davanti a casa un gruppo di fascisti che avevano appena finito di devastare l’abitazione della sua famiglia. Interrogata su dove fosse il padre, Vivà rispose che lo ignorava.
A seguire la bambina dovette salutare il padre in partenza per l’esilio clandestino in Francia. La madre e le quattro figlie lo raggiunsero a Parigi, nell’agosto 1927, dopo un’avventurosa fuga in treno passando per Ventimiglia-Mentone.

Nel corso della sua vita in territorio francese si innamorò e sposò di Henri Léon Marcel Daubeuf, di quattro anni più anziano, proveniente da una famiglia piccolo borghese aliena dalla politica militante.
Qualche tempo dopo il matrimonio, nel giugno 1940, Hitler decise di attaccare la Francia e in due settimane i nazisti sbaragliarono l’esercito nemico ed entrarono trionfalmente a Parigi il 14 dello stesso mese. I fuoriusciti antifascisti e le loro famiglie dovettero fuggire nella Francia collaborazionista di Vichy, costantemente braccati e spiati.
Vivà e il marito, nell’agosto 1940, decisero di tornare a Parigi dove Henri iniziò ad occuparsi della piccola stamperia di proprietà di Nenni dove ben presto, durante le ore notturne, si iniziò a stampare materiale di propaganda della resistenza francese.

Il 17 giugno 1942 i poliziotti francesi irruppero in casa dei coniugi Daubeuf e arrestarono Henri, lasciando Vivà in libertà. Avrebbe potuto mettersi in salvo ma scelse invece di rimanere vicino al marito. Il 25 giugno fu arrestata anche lei. Trasferiti entrambi nel carcere-fortezza di Romainville, il principale penitenziario di Parigi, l’11 agosto, insieme ad altri 95 detenuti, Henri Daubeuf fu passato per le armi.
Per le oltre 4.000 prigioniere donne, tra cui Vivà, i tedeschi avevano in mente altri progetti, infatti il 24 gennaio 1943, 230 donne, tra cui la figlia di Nenni, furono caricate su un carro bestiame con destinazione Polonia, in una località a loro sconosciuta, Auschwitz: soltanto 49 di loro si salveranno e Vittoria Nenni, non fu tra di loro, morì a causa di una febbre tifoidea.

“Da quando la nostra Vivà ci ha lasciati – avrebbe confessato Nenni – non c’è giorno, e forse non c’è ora, in cui non mi dica che forse è per causa mia, o per lo meno del mio genere di vita, che ella è stata presa dall’ingranaggio che l’ha schiacciata”.


Fonte: La Stampa

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