Veronica Pagano, 46 anni, di Milano, trascorrerà le ferie estive del 2024 in Benin, nella missione locale delle suore Clarisse Cappuccine, a Zinviè, nel villaggio di Wawatà.
Come lei, verso altre destinazioni, sempre tra i più bisognosi, sono in partenza altri 44 volontari, tutti preparati e coordinati dai frati Cappuccini del Centro Missionario di piazzale Cimitero Maggiore 5 a Milano.
Sono persone di ogni età; qualcuno parte solo, qualcuno come Veronica, in coppia con il/la coniuge o il compagno/a.
Che cosa li spinge ad affrontare un’esperienza che può riservare perfino dei seri rischi per la propria vita?
“Mi sono avvicinata al mondo della missione e del volontariato nel 2012, a 34 anni – racconta Veronica che andrà in Africa con il suo compagno Fabrizio -. Prima avevo pensato solo a divertirmi. La mia famiglia è molto credente, ho una zia suora di Maria Ausiliatrice e uno zio Missionario Cappuccino, che oggi è Vescovo in Etiopia, ma i miei genitori hanno lasciati noi tre figli sempre liberi di fare le nostre scelte. Quell’anno volevo proprio andare dallo zio in agosto perché ricorreva l’anniversario dalla morte della nonna, cui ero stata molto legata. Mi sono unita a un gruppo di ragazzi volontari dei Missionari Cappuccini di Milano e sono partita. E’ stata una bellissima esperienza, era un gruppo vocazionale, quindi i partecipanti fecero anche un percorso di preghiera, ma io ero libera di seguirli o di dedicarmi solo alle attività di intrattenimento dei bambini.
Fino a quel momento avevo pensato ad andare in discoteca, a viaggiare, agli aperitivi con gli amici. In chiesa andavo di tanto in tanto, anche perché frequentavo persone lontane dalla religione. In famiglia c’è sempre stato tanto dialogo: si parlava di politica, di economia, di fede, etc. Io ascoltavo, ma rimanevo sempre un po’ distaccata da questi argomenti, preferivo indirizzare il mio tempo libero alle cene fuori, insomma alle occasioni frivole.
In Camerun ho scoperto un mondo che non mi aspettavo! Mi trovai in un villaggio, senza strade asfaltate. Impiegammo 10 ore per arrivare, però poi lì, in mezzo al nulla, trovammo un’accoglienza meravigliosa! Andavo a tenere compagnia ai piccoli degenti dell’Ospedale Cardiac Center di Shisong, dove operavano i bambini al cuore. Prima avevo sempre rifiutato la sofferenza, specie dei più piccoli, ma scoprii che non c’era da aver paura della malattia, perché la presenza dei missionari portava gioia. Sono stata catturata insomma dalla gioia delle persone che vivevano nelle capanne e ti offrivano quel poco che avevano. Pensavo: ‘Non hanno i nostri agi, ma sono veramente felici’”.