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venerdì, 3 Maggio, 2024

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“Il Valore di un Selfie” di Concita De Gregorio e il linguaggio discriminatorio. Un cattivo esempio.

La risposta di Paola Severini Melograni:

C’è un mondo che fa mille storie sulle desinenze e sulla schwa! Lo stesso mondo, quello dei cosiddetti “buonisti”, che nonostante sia frequentemente protagonista dei media mainstream, in realtà usa un linguaggio discriminatorio nei confronti delle persone con disabilità. Mi unisco alla nota stampa della presidente di CoorDown Antonella Falugiani e aggiungo un’ulteriore riflessione: quando i comunicatori, soprattutto quelli famosi, non hanno fatto propri comportamenti e conoscenze questo è il risultato! Non possiamo solo puntare il dito su trasmissioni volgari dove ospiti incolti utilizzano parole fuori luogo, quando una nota editorialista usa termini come “mongoloide”, “decerebrati assoluti”, “deficit cognitivo”, richiama a classi differenziali e ci offre l’immagine dell’insegnante di sostegno che dice al suo alunno disabile “pulisciti la bocca”. Sono frasi vergognose che eravamo abituati a condannare quando venivano dette dentro una certa tv spazzatura. Cito dalla nota di Falugiani perché è giusto il ruolo di denuncia e controllo che le associazioni di vera rappresentanza esercitano. Non possiamo più permetterci di tornare indietro poiché in questi quattro anni il lavoro dei media è stato importante anche grazie alla televisione pubblica che con la trasmissione “O Anche No” ha segnato la differenza sia con le televisioni private che con il passato. Parliamo dell’editoriale di oggi di Concita De Gregorio, che ci ha fatto tornare indietro di anni. Non lo permetteremo.

Paola Severini Melograni

Concita De Gregorio e il linguaggio discriminatorio. Un cattivo esempio. Il commento di Antonella Falugiani, Presidente CoorDown, all’articolo Il Valore di un Selfie
Antonella Falugiani, Presidente di CoorDown, così commenta l’articolo:
“L’editoriale di Concita De Gregorio, pubblicato oggi su Repubblica, ci ha lasciati stupiti e amareggiati. Stupiti perché non ci aspettavamo parole discriminatorie, insultanti e che rievocano un passato dolorosissimo da parte di una giornalista e scrittrice che ha spesso avuto attenzione e sensibilità per le battaglie per l’inclusione portate avanti da genitori e persone con disabilità fisica e intellettiva. Amareggiati perché ancora una volta ci troviamo a denunciare l’uso violento della disabilità come stigma, pietra di paragone da usare come offesa e insulto massimo. Le parole “decerebrati assoluti”, “deficit cognitivo”, “idioti”, il richiamo a classi differenziali con ironia beffarda e l’immagine dell’insegnante di sostegno che dice “pulisciti la bocca” al suo alunno disabile, sono frasi vergognose che eravamo abituati a condannare quando venivano dette incautamente e con grande ignoranza dentro certa TV spazzatura. Le persone che imparano con difficoltà a pulirsi la bocca, non si permetterebbero mai di rovinare statue, perché hanno imparato cosa sia il rispetto. Ci siamo fatti sentire ogni volta che persone con sindrome di Down, disabilità intellettiva o fisica venivano insultate, fatte oggetto di linguaggio violento. Anche questa volta chiediamo che ci sia una rettifica, le scuse di De Gregorio per aver scelto di “usare” la disabilità per dipingere la stupidità. Questo non è tollerabile che appaia sullo stesso giornale dove tante volte abbiamo visto dare spazio ai diritti delle persone con disabilità, alle nostre Campagne per l’inclusione. Ci preme che, come avvenuto nei giorni scorsi per un altro editoriale che ha ricevuto critiche, anche stavolta il CDR di Repubblica intervenga pubblicamente per denunciare quanto la pratica e i pregiudizi abilisti siano diffusi, anche tra chi la penna la sa usare, e quanto sia importante sradicarli perché non inficino il lavoro che famiglie, associazioni e attivisti fanno da anni nella diffusione della cultura della diversità e nella lotta per l’inclusione e per il rispetto delle persone con disabilità. Ogni insulto ci fa tornare indietro di anni, non lo permetteremo”.
Da ” Buone notizie secondo Anna“:

Cara Concita De Gregorio, sono Anna è anch’io ho in classe un’insegnante di sostegno che a volte mi dice “vieni tesoro, sillabiamo insieme”, perché sai non è proprio facile per me parlare bene e farmi capire, ma ce la metto tutta. A volte mi dice anche di pulirmi la bocca, perché sai non è proprio facile imparare a tenersi puliti, ma ce la metto tutta. Anch’io ho un deficit cognitivo e, come sai, questo rende tutto difficile. Ma del resto, come dici, anche nel mio caso non è colpa mia…ho pure anch’io qualche migliaio di followers, ma quella è colpa di mio papà che ha voluto raccontare la nostra storia per ricordare, prima di tutto a sé stesso, che le parole sono importanti. Anzi, sai benissimo che sta scrivendo lui e non io, ma usa la mia “voce” perché è talmente amareggiato e ferito che potrebbe cadere nel tuo stesso errore dicendo parole che fanno male, molto male.

Per quale motivo dovresti usare le mie difficoltà e la mia disabilità per descrivere il comportamento sbagliato di altri o per denunciare veri e propri atti vandalici? Se non l’avessi visto con i miei occhi sulla pagine de la Repubblica avrei pensato certamente a un fake. Sappiamo bene quanto ti stia a cuore il tema e ci sembra quasi incredibile leggere queste parole scritte da te.
Ci si meraviglia e ci si scandalizza tanto quando giovanissimi utilizzano “Down”, “Mongoloide”, “handicappato” o “disabile” per offendere altre persone, ma tu hai fatto esattamente la stessa cosa, anzi con una forza che ferisce molto. E la tua non è una frase istintiva urlata da un ragazzino, ma è scritta da una persona che di mestiere usa le parole…quindi hai scelto le parole e questo fa male, molto male.
Come sai io racconto le buone notizie, ma questa volta vorrei lasciare a te il compito di trovare la buona notizia in questo groviglio. Posso solo suggerire un piccolo indizio…perché a volte la buona notizia si nasconde dietro a un semplice e potente “scusate”.
Un abbraccio e un sorriso.
Da “La Repubblica” 
“Il valore di un Selfie” di Concita De Gregorio

Allora dunque ci sono questi cretini integrali, decerebrati assoluti che in un tempo non così remoto sarebbero stati alle differenziali, seguiti da un insegnante di sostegno che diceva loro vieni tesoro, sillabiamo insieme, pulisciti però prima la bocca. Ecco ci sono questi deficienti, nel senso che letteralmente hanno un deficit cognitivo – non è mica colpa loro, ce l’hanno –  e che però pur essendo idioti hanno probabilmente centinaia o migliaia di followers, non ho controllato ma non importa, è assolutamente possibile che siano idoli della comunità. 

Sono influencer, leggo nelle cronache. Insomma ci sono questi influencer, gente che influenza e orienta i comportamenti di altra gente, che per farsi un selfie nel Varesotto, a Viggiù, hanno distrutto una statua ottocentesca. Ma non importano l’epoca né il valore commerciale: poteva essere un Michelangelo, uno Jago. Hanno distrutto un’opera d’arte perché dovevano farsi una foto da postare sui social. C’è il video, prova suprema. Ridono. Probabilmente non succederà niente: i genitori premurosi ripagheranno il danno, o i nonni. 

Editorialisti, vi prego. Direttori di giornali e di reti tv, vi supplico. Commissionate alle migliori menti del nostro tempo, filosofi scienziati celebrità pensanti, piccoli monologhi da frazionare su TikTok che spieghino che esistiamo anche se non ci fotografiamo. Come si fa a riavvolgere il nastro di questo delirio: questo sì che è un tema epocale, altro che Pnrr. Genitori: puniteli. Toglietegli le chiavi di casa, negategli la ricarica della prepagata e se guadagnano più di voi e per questo vi intimidiscono, suscitano il vostro rispetto: riprendetevi, toglietegli il sorriso. Io non lo so come si fa, ma si deve.


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