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sabato, 27 Aprile, 2024

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Così il mondo dell’arte prova a rinascere

La riapertura dei musei a metà gennaio è sempre meno probabile. Molti poli culturali stanno cercando di rilanciare un programma di attività nel rispetto delle norme anti Covid, e se da questo primo calendario i segnali saranno incoraggianti le attività si moltiplicheranno, soprattutto le mostre di media grandezza.

Ancora nessuna notizia certa dai piani alti del governo circa la possibile riapertura dei musei a metà gennaio (è bene ricordarlo, riavviare un museo è più difficile e complicato che tirar su la serranda a un bar, un ristorante, un’attività commerciale). Intanto, il mondo dell’arte non si ferma: studia strategie per la ripartenza, ipotizza nuovi scenari che almeno all’inizio presupporranno meno pubblico, si interroga sul rapporto tra l’imprescindibile contatto con il reale, la visione dell’opera in carne e ossa, e l’integrazione assolutamente necessaria con il mondo virtuale.

Fin qui la differenza l’ha fatta chi ha qualcosa da dire – e come la dice – rispetto a chi si limita a pure operazioni di trasferimento in rete, alquanto malinconiche e inefficaci. Non c’è da stupirsi dello straordinario successo delle lezioni di Christian Greco, direttore del Museo Egizio, che hanno superato il milione di visualizzazioni uniche, né dei divertenti mini-video postati su Tik Tok dagli Uffizi: significa cioè aver capito che questi strumenti necessitano di altri linguaggi, che a loro volta possiedono una sintassi propria e regole specifiche.

In altri casi, la maggioranza, è sembrato sufficiente mostrare visite virtuali in sale tristemente vuote: curiosità poca, abbandono immediato. In attesa che i musei si attrezzino per imparare al meglio la potenzialità del web, alcune gallerie hanno riaperto, essendo equiparate ad attività commerciali, lamentando però il poco pubblico in giro e soprattutto l’assenza delle fiere, che durerà ancora a lungo (chissà se ce la farà a inaugurare Miart a settembre).

Le mostre importanti sono impegnative da preparare, soprattutto per i prestiti delle opere, e dunque i più coraggiosi provano a rilanciare un programma di attività che fin da marzo dovrebbe passare i primi segnali di ripartenza. Segnali che arrivano per esempio da Palazzo Strozzi, Firenze: annunciata una grande rassegna sull’arte americana dal 1961 al 2001, dalla Pop Art alle Torri Gemelle, di sicuro richiamo e di altrettanta scientificità. Data di apertura annunciata, il 20 marzo.

Se a Venezia si discute sulla rinuncia dei Musei civici di voler aspettare almeno la primavera nella speranza che ricominci un significativo flusso turistico, gli appassionati hanno già messo in agenda la retrospettiva di Bruce Nauman a Punta della Dogana (21 marzo), evento da non perdere vista la rarità dell’artista americano, uno degli ultimi grandi vecchi. Oltre ovviamente alla Biennale di Architettura, slittata di un anno, riposizionata dal 22 maggio e probabilmente ripensata sull’onda della pandemia.

Più complicato organizzare il calendario di spazi-contenitori, come Palazzo Reale a Milano il cui calendario si basa su un fitto gioco di incastri. Al momento “Le donne dell’arte”, rassegna sulla pittura al femminile tra ’500 e ’600 è fissata ottimisticamente per il 5 febbraio, mentre lì accanto, al Museo del ’900, dovrebbe riaprire (sempre a proposito di donne) l’antologica di Carla Accardi. A Torino, in attesa dell’inaugurazione della nuova sede di Gallerie d’Italia in piazza Castello, uno spazio monstre progettato da Michele De Lucchi e che si occuperà principalmente di fotografia e video, il Castello di Rivoli promette un omaggio al critico Achille Bonito Oliva (17 maggio), mentre a Roma il MAXXI tenterà di celebrare i dieci anni di attività (28 gennaio, riuscirà?) fisiologicamente rimandati rispetto alla scadenza naturale.

Molte attività si annunciano per il settecentesimo anniversario della morte di Dante in varie città d’Italia, in particolare al MAR di Ravenna (11 settembre) con una grande mostra trasversale e divertente, simile a quella dedicata a Ulisse che aprì pochi giorni prima della pandemia lo scorso febbraio a Forlì. La gestazione è molto impegnativa, meglio prendersi il tempo necessario. Se da questo primo calendario i segnali saranno incoraggianti, c’è da scommettere che le attività si moltiplicheranno, soprattutto di mostre medie, non troppo costose da produrre, che potrebbero funzionare da cartina al tornasole per capire il reale stato dell’arte post-Covid, non solo in Italia.

Sarà curioso, infine, scoprire cosa ha lasciato dietro di sé l’improvviso e lungo stop alla cultura visiva e che tipo di opere gli artisti produrranno da qui in poi, se la pandemia avrà delle conseguenze e dei motivi di riflessione oppure se sarà meglio archiviare il dramma e dedicarsi ad altre riflessioni, come già accade nel cinema e nella letteratura.

Personalmente provo fastidio di fronte a chi sceglie di cavalcare la cronaca, mettendo mascherine alla Gioconda o rielaborando il lutto attraverso immagini stucchevoli e stupide; neppure mi piacciono i tanti “diari dalla clausura”, un diffuso chissenefrega a modelli del tipo un disegno al giorno, una foto al giorno, specchio dell’esigenza conclamata di parlare sempre e solo di sé in prospettiva ombelicale. Sono ottimista, dunque mi aspetto un’arte grintosa, coraggiosa, utopistica, dove ritorni la voglia di vivere e condividere, attraverso i cinque sensi, quell’esperienza unica che tanto ci è mancata, come cosa necessaria, non certo superflua, anche per dar contro a chi l’ha etichettata così.

 

Articolo di (linkiesta.it)

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