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domenica, 19 Maggio, 2024

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Giorno della memoria: come spiegare la Shoah ai bambini

Dal 2000 è stato istituito il 27 gennaio come “Giorno della Memoria” a livello nazionale e poi, dal 2005, mondiale per ricordare uno dei capitoli più bui della nostra storia: la Shoah e il dolore delle sue vittime e delle loro famiglie.  Per non dimenticare il passato e non commettere gli stessi errori è importante trasmetterlo anche alle generazioni future che pur non hanno vissuto la storia in prima persona devono comprendere l’enormità di quello che è accaduto. 

A fine di conseguire questo obiettivo nel corso degli anni sono state progettate numerose iniziative che hanno coinvolto le scuole, soprattutto le superiori.  Il tema, viene infatti ancora poco trattato nelle scuole primarie considerando l’enormità delle circostanze. 

Matteo Corradini, ebraista e studioso della Shoah, vincitore del premio Andersen 2018, ha deciso di scrivere un libro "Tu sei memoria", per aiutare gli insegnanti a parlare della Shoah utilizzando un linguaggio adatto agli scolari. 
L’autore è stato intervistato da Paolo Ferrario, corrispondente del quotidiano Avvenire spiegando perché è una sfida possibile e come gli scolari possono, a loro volta, farsi Memoria.

Alla domanda del giornalista nel quale chiede se la Shoah sia un tema adatto all’età degli alunni della scuola primaria l’autore risponde: “Sì e no. Se con il termine Shoah intendiamo il punto finale dello sterminio, Auschwitz per capire, allora dico subito che non è adatto ad alunni così giovani […] per i quali sono pensate le attività proposte nel libro” proseguendo, “Se, invece, con questo termine indichiamo i fatti che avvengono tra il 1933, quando i nazisti prendono il potere in Germania e il 1945 […] allora c’è tutta una parte che si può raccontare, anche ad alunni di questa età. Perché Auschwitz è il terminale di un processo di costruzione dell’odio antisemita che dura anni e che, con un linguaggio comprensibile ai bambini, è possibile spiegare anche alla scuola primaria.”

Corradini parlando dei docenti, li definisce degli adulti che capiscono le domande dei propri studenti e provano a dare delle risposte. Spiega poi che “Il libro cerca di venire incontro proprio a questo lavoro di ricerca delle risposte da dare. […] Gli alunni non si innamorano degli insegnanti che sanno tutte le risposte, ma di quelli che sanno accendere domande. Un modo di procedere, tra l’altro, molto ebraico.” commentando poi che in passato ha incontrato molti insegnanti motivati a formarsi in vista della Giornata della Memoria.

Lo scrittore dichiara inoltre che parlare della Shoah nelle scuole è assolutamente necessario “perché questa parte del nostro passato non è ancora passata del tutto e ha ancora qualcosa da dirci. Raccontare la Shoah è imprescindibile. […] È necessario parlare della Shoah per sincronizzare il presente con il passato e fare in modo che alcune parole del passato non siano più del passato, perché sono ancora tanto forti nel presente” aggiungendo, “Il meccanismo del pregiudizio e del razzismo è ancora, purtroppo, ben radicato nella nostra società e gli studenti […] hanno occasione di sperimentare che cosa vuol dire essere discriminati.”

Ferrario chiede quali tipo di attività si potrebbero fare in classe: “In Italia c’è ancora una scarsa conoscenza degli ebrei  […] si può cominciare con attività semplici come preparare insieme i montini di Purim, oppure costruire una kippah di carta o, ancora, giocare con le lettere dell’alfabeto ebraico. In questo modo si può […] conoscere che cosa sono stati e sono gli ebrei. Non farlo equivale e non onorare la Shoah, perché non sapere nulla delle vittime significa dimenticarle.”

Successivamente spiega che in Italia, gli ebrei sono ancora poco conosciuti perchè non se ne parla, si incontrano a catechismo o quando si parla di seconda guerra mondiale tralasciando gli oltre duemila anni di storia. “C’è persino chi pensa che siano stranieri. E, invece, gli ebrei siamo noi, sono i nostri vicini di casa. Gli ebrei sono un pezzo di storia d’Italia.”

Approfondendo come mai la scuola non ne parla come sarebbe necessario conclude “Le questioni che toccano la scuola sono talmente tante e complesse che si dovrebbe stare in classe diciotto ore al giorno. […] La scuola è l’unica agenzia educativa che si occupa di questi argomenti. Di antisemitismo si deve parlare a scuola ma anche, per esempio, nelle società sportive, perché è anche negli stadi che esplode con manifestazioni violente. Dalla scuola può partire un percorso di maturazione che, però, ha bisogno di tempi lunghi e non si esaurisce in classe. Servono progetti di ampio respiro, a lungo raggio. E qui entra in gioco la responsabilità della politica che, invece, vive e ragiona a corto raggio. Per il tempo di una legislatura. Ma il senso civico di una generazione ha tempi di maturazione più lunghi.”


Fonte: https://www.avvenire.it/attualita/pagine/la-shoah-spiegata-ai-bimbi-lezioni-gi-dalle-elementari

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