17.6 C
Roma
domenica, 19 Maggio, 2024

fondato e diretto da Paola Severini Melograni

Turchia – Israele, l’onore e la ragione di Janiki Cingoli

Il Premier turco Erdogan ha confermato la sospensione degli accordi commerciali e di sicurezza tra i due paesi, anche se un suo portavoce ha successivamente precisato che gli accordi commerciali sospesi riguardano solo quelli attinenti le rispettive industrie della difesa. Già il 2 settembre scorso il suo Ministro degli Esteri, Ahmet Davutoglu, aveva proclamato l’espulsione dell’Ambasciatore israeliano e il blocco delle relazioni comuni.

La crisi tra Ankara e Gerusalemme ha così raggiunto il suo punto più basso, anche se non sono esclusi nuovi atti di rottura. In particolare, l’annuncio dato dal Premier che navi turche scorteranno in futuro i convogli navali transitanti nel Mediterraneo Orientale “per assicurare la libertà di navigazione” fa temere la possibilità di nuovi scontri, in un’area già irta di tensioni.

Le cause della crisi sono note: l’uccisione, da parte dei soldati israeliani, nel maggio 2010,  di nove cittadini turchi e di uno turco-americano, sul battello Navi Marmara, durante l’intervento armato per bloccare la flottiglia che cercava di raggiungere Gaza. La Turchia ha chiesto le scuse del Governo di Gerusalemme, insieme alle connesse compensazioni alle famiglie delle vittime, e la fine del blocco sulla Striscia.

Dal canto suo, Israele si è detto pronto a compensare le famiglie colpite e a esprimere “rincrescimento” per l’accaduto, ma non a porgere le scuse.

La crisi è esplosa quando nei giorni scorsi sul New York Times è stato pubblicato anticipatamente il rapporto redatto dalla Commissione di inchiesta sull’accaduto, che ha dichiarato legittimo il blocco israeliano su Gaza, per motivi di sicurezza, ha accertato che i soldati israeliani furono attaccati dai militanti durante il loro arrembaggio alla nave, ma ha definito altresì “eccessivo e irragionevole” l’uso della forza da parte di quegli stessi soldati. Un rapporto accettato con riserva da Israele, ma respinto in blocco dalla Turchia.

Forse, sarebbe stato quello per Netanyahu il momento di utilizzare la relativa vittoria diplomatica ottenuta, per porgere le scuse e chiudere l’incidente, come gli hanno consigliato alcune tra le più autorevoli personalità economiche e giuridiche del suo paese. Ma le resistenze delle componenti di destra della sua maggioranza, a partire dal suo Ministro degli Esteri Lieberman, non glielo hanno consentito.

Eppure, entrambi i paesi avrebbero avuto interesse a evitare la rottura. La Turchia si trova a fronteggiare una crisi della sua “politica di prossimità”, rivolta verso i suoi confini meridionali: la Siria, con cui dopo lunghi contrasti i rapporti di amicizia erano diventati particolarmente intensi, vede crescere la rivolta contro il regime di Assad, che risponde con massacri quotidiani e accuratamente pianificati, suscitando la condanna sempre più decisa e ultimativa di Erdogan, che resta tuttavia inascoltata. Questi sviluppi hanno creato un peggioramento delle relazioni anche con l’Iran, che malgrado qualche recente critica verso il governo di Damasco resta tuttavia il suo principale alleato e il suo essenziale sostegno.

D’altronde, la crisi con Israele crea sospetti e preoccupazioni negli Stati Uniti, che restano per Ankara  il principale partner strategico ed economico.
Per questo, nelle settimane scorse era stato tentata una ricomposizione della crisi con Gerusalemme, che però non è andata a buon fine, scontrandosi con le rispettive intransigenze.

D’altra parte Ankara, e personalmente Erdogan, tendono a porsi come riferimento per la “primavera araba”, dall’Egitto alla Tunisia alla stessa Siria (di cui ospita gli incontri delle opposizioni), con il loro modello di governo islamico democratico, ed un certo indurimento dei rapporti con Israele non può che fare gioco, accrescendone la popolarità presso le opinioni pubbliche di quei paesi.

Per quanto riguarda Israele, l’acuirsi crisi non ha alcun senso: la Turchia rappresenta il suo principale partner economico e strategico nel Mediterraneo. L’interscambio commerciale ammonta a 3,5 milardi di dollari annui, e le esportazioni israeliane raggiungono i 2 miliardi  annui, come ha ricordato a Netanyahu il Governatore della Banca di Israele, Stanley Fischer. L’economia turca è la più grande della sponda sud del Mediterraneo, e il ritmo della sua crescita è impressionante.

Ma anche dal punto di vista politico e diplomatico, grande è il rischio che i governi di paesi come l’Egitto e la stessa Giordania siano sottoposti  a pressioni molto forti per seguire l’esempio di Erdogan, sul piano delle relazioni diplomatiche e su quello economico e militare, da parte delle rispettive opinioni pubbliche, che contano sempre di più: soprattutto se il processo diplomatico resta bloccato, e la prossima Assemblea Generale dell’ONU voterà a favore della creazione del nuovo Stato palestinese.

In conclusione, seguendo la ragione questa crisi poteva e doveva essere evitata, ma ora che le ragioni del prestigio e dell’onore hanno preso il sopravvento, sarà molto difficile superarla e porvi rimedio: la tensione nell’area mediterranea è destinata a crescere, se l’Europa e gli Stati Uniti non interverranno con una decisione che fin qui è mancata.

ARTICOLI CORRELATI

CATEGORIE

ULTIMI ARTICOLI