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martedì, 30 Aprile, 2024

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Fatica da pandemia ed Holiday Blues

Una riflessione della dott.ssa Martina Paolucci, psicoterapeuta cognitiva, sulla fatica da pandemia e sull’Holiday Blues.

Come avete accolto quest’anno lo spuntare delle prime lucine di Natale? Dicembre, per molti mese di feste e calore familiare, ci regala l’occasione di addobbare le case fisiche e quelle metaforiche, ovvero quelle interiori, che ci portiamo sempre dietro. Molte persone amano il Natale, perché rivivono la magia vissuta da bambini, magari attraverso i figli, o attraverso le tradizioni che non hanno avuto da bambini, ma che hanno reinventato su loro misura da adulti. 

Per molti però queste settimane sono tutt’altro che piacevoli. Sono al contrario dominate da ansia, sentimenti di umore depresso, solitudine, o da quella che viene definita “malinconia da vacanze” o “holiday blues”. I motivi variano da persona a persona. Alcuni si sentono soli, magari vivono forti difficoltà economiche, non hanno la possibilità di stare vicini ai familiari, o sono più stressati per via della frenesia che si respira intorno. Quest’anno il tutto è aggravato dalla pandemia da coronavirus e tutte le sue conseguenze, sociali, economiche, sanitarie.

Uno degli aspetti che per molti si rivela problematico a Capodanno è la tendenza a fare bilanci, a rintracciare il punto in cui ci si trova del proprio percorso, della propria attività lavorativa o della vita sentimentale. Se non si è abituati a congratularsi con sé stessi, a porsi con gratitudine “nonostante tutto”, allora possono talvolta prevalere pensieri eccessivamente critici, di autoattacco o invidia verso gli altri.

L’holiday blues varia molto in base alle aspettative che abbiamo delle vacanze a partire dalle esperienze fatte durante l’infanzia. Possono esserci pensieri positivi legati alle memorie del passato, alle tradizioni di famiglia – come fare la pasta in casa con la nonna – che producono stress in quanto si sente l’obbligo di dovervi aderire, pena un senso di colpa. Questo vale soprattutto per le donne, culturalmente detentrici delle tradizioni culinarie. Altrimenti possono esserci nella memoria eventi fortemente negativi, sperimentati durante o in prossimità delle feste, come traumi e lutti.

Anche l’abuso di alcol e il conseguente verificarsi di episodi di violenza o forte imbarazzo giocano un ruolo cruciale. Sono frequenti scene traumatiche legate al riunirsi della famiglia con parenti che si ubriacano e rovinano l’atmosfera. L’alcol è infatti un ottimo anestetico, che quache volta aiuta a rendere sopportabile emozioni dolorose. Di solito coesistono più aspetti, e integrarli già restituisce un certo sollievo. Si può googlare “rimedi contro l’holiday blues” e trovare facilmente il self-care, la pratica di prendersi cura di sé più del solito, facendosi un regalo, dandosi del tempo in più per riposare, vedere gli amici o assecondare il desiderio emergente del momento. 

Tra quelli che amano le feste di Natale e Capodanno c’è poi chi le considera un periodo di rinascita, per cui se qualcosa ha pesato sul petto, la speranza di poterla finalmente lasciare andare risulta più vivida. Si fanno liste di buoni propositi senza temere che siano più che altro belle speranze, si coglie l’occasione per entrare in contatto con il futuro, e non importa se è immaginato come lo si vorrebbe o come lo si teme.

Quest’anno siamo alla fine di un anno che nessuno di noi scorderà facilmente. Nel privato abbiamo tutti vissuto qualcosa di significativo, che è stato così eccezionale perché del tutto eccezionali erano le circostanze in cui si è verificato. Ci sono stati tanti lutti, perdita di lavoro, reparti ospedalieri costantemente sovraffollati, ma anche tanti progetti nuovi, nuove nascite, nuovi matrimoni, nuove amicizie e una netta diminuzione dell’inquinamento ambientale.

Forse gli effetti di quello che ci è piombato addosso collettivamente non sono ancora comprensibili a 360 gradi. Non lo sono le conseguenze socio-economiche, con una crisi che si delineerà chiaramente solo tra qualche anno, e non lo sono neanche quelli psicologici e psicofisiologici a lungo termine. Stiamo tamponando uno stress che scende e sale all’annuncio del prossimo Dpcm, con l’ultimo aggiornamento dal fronte delle case farmaceutiche, dal ministero della Salute e dall’Oms. Sono cresciuti i sentimenti di paura e sconforto. L’ansia si è cronicizzata. I dati provenienti dai centri di salute mentale, per esempio, sono molto scoraggianti per quel che riguarda segnalazioni di tentati suicidi e suicidi tra gli adolescenti.

Siamo riusciti nostro malgrado ad imparare a sopportare le mascherine, il distanziamento e la privazione dei momenti di ritualità collettiva, ma il prezzo è stato quello di ridurre, se non azzerare, la prospettiva sul futuro. Dopo il trauma, la frattura con una normalità che abbiamo dovuto ricostruire a partire dalla creazione di nuove routine, è arrivata la “fatica da pandemia”, dove a prevalere sono state non più le emozioni di paura da contagio, di perdere persone care, ma irrequietezza e un diffuso senso di impotenza. Come sfruttare allora questa apparentemente infinita “fase di passaggio”? La transizione al nuovo anno è qualcosa di artificiale e arbitrario, che non blocca di certo i virus o le crisi economiche, ma può aiutarci a recuperare anche solo per un momento lo sguardo sul futuro. Proprio quella capacità che prima delle altre viene meno quando a dominare sono il senso di sconfitta e il funzionamento regolato dall’impotenza appresa.

“L’impotenza appresa” è quella sensazione di sfiducia che Martin E. P. Seligman, psicologo statunitense fondatore della psicologia positiva, usò per descrivere le volte in cui ci sentiamo incapaci di reagire, ci diciamo che è inutile, non ce la facciamo, è troppo difficile. Questo processo si instaura a partire da esperienze ripetute di insuccesso, per cui il cervello si abitua ad anticipare esiti negativi in risposta ad azioni mosse da una motivazione specifica, cose di cui sentirebbe il bisogno. Si abitua che non ce la si farà, per passare man mano ad uno stile esplicativo pessimista, e nei casi più gravi si sviluppa depressione maggiore.

Lo stile pessimistico si fonda principalmente su tre aspetti di ragionamento: – la pervasività: ovvero l’idea che un evento negativo inonderà a cascata tutta l’esistenza (“il mondo è spacciato”, “non piaccio a nessuno”, “non servo a niente”); – la permanenza: quindi l’idea che lo stato infausto delle cose durerà per sempre (“non ne usciremo mai”, “non mi ascolti mai”, “sarai sempre così”); – personalismo: la tendenza a considerarsi responsabili di tutto ciò che accade, riferendo a se stessi anche fatti che non hanno alcun collegamento con se stessi (“se mi ha detto no, sicuramente è colpa mia”).

Ripartiamo da qui. In un anno in cui siamo stati così co-stretti dentro le nostre vite, le nostre famiglie, le nostre paure, le nostre difficoltà sociali e relazionali, cosa abbiamo imparato? Quale aspetto della vita abbiamo osservato così da vicino da farci capovolgere (o sconvolgere) la visione su noi stessi e gli altri? È stato un anno straordinario (sì fuori dall’ordinario), ma possiamo inserirlo in modo armonico nella nostra storia, incasellarlo in qualche modo e fare spazio al nuovo.

Dott.ssa Martina Paolucci, psicoterapeuta cognitiva – martipaolucci@gmail.com

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