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venerdì, 26 Aprile, 2024

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Giovanni XXIII moriva 60 anni fa, un ricordo

Sessant’anni anni fa avevo quasi 7 anni e mio padre, che ere un medico cattolico e amava Papa Giovanni XXIII, mi portò al suo funerale. Poiché ero piccolina e piazza San Pietro era gremita di gente, mi mise a cavalcioni sulle sue spalle. Quella giornata rimase incisa nel mio cuore, ero la più alta di tutti sulle spalle di mio padre e fu una grande emozione. Da allora, con passione, ho seguito tutto quello che riguardava la storia di papa Roncalli e soprattutto, grazie agli amici Marco ed Emanuele ho imparato molte cose e ho, nel mio piccolo, lavorato per il suo ricordo, collaborando con l’esercito quando, grazie all’impegno del Vescovo Santo Marcianò, ancora oggi Ordinario Militare, e dell’allora Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, Generale Danilo Errico, Papa Giovanni XXIII divenne patrono dell’esercito.

Un ultimo pensiero: grazie a questa mia passione per il santo padre, ho avuto l’onore di conoscere il suo segretario particolare, Loris Capovilla, e realizzare la sua ultima intervista, che è conservata in versione video nell’archivio di Angelipress ed è ancora inedita. Sarà pubblicata prossimamente, nell’ambito di un lavoro chiamato “Gli amici del Papa”, che vedrà anche Arturo Paoli e Leonard Boff.

Queste poche parole sono un ricordo di Paola Severini Melograni, cui leghiamo un estratto dell’articolo uscito oggi, sabato 3 giugno, su Avvenire, a firma di Marco ed Elisa Roncalli sul racconto del Papa Buono, sulla vita, sulla chiesa e sulla pace.

Sessant’anni fa, il 3 giugno, lunedì di Pentecoste, alle 19,45 moriva Giovanni XXIII. Le sue condizioni si erano aggravate senza lasciar spazio a speranze la notte del 31 maggio, al verificarsi di una peritonite. Da quel momento si erano avvicendati al suo letto di dolore i fratelli, la sorella, alcuni nipoti, tutti giunti insieme al cardinale Giovanni Battista Montini. Avrebbero trascorso la loro prima notte in Vaticano – alternandosi al capezzale del Papa, con i domestici, le suore Poverelle, il segretario, alcuni cardinali – pregando, detergendogli il sudore, raccogliendone le ultime parole durante gli sprazzi di lucidità. Tutto «con pietà umana serenissima e devozione sicura della sua fede davanti all’incombente mistero della morte come se fosse avvenimento solenne e soave », scrisse Montini presente nella stanza. Tutto con compostezza. La stessa che si respirava nella piazza. Quella della gente venuta in massa per l’ultimo saluto al Papa, ma senza isteria. La gente che aveva creduto alla sua sincerità, che si era sentita oggetto della sua attenzione e tenerezza: per Martin Heidegger i due fenomeni costitutivi del nostro esistere ma, secondo Heinrich Böll, rimasti assenti troppo a lungo nei messaggeri del cristianesimo.

Angelo Giuseppe Roncalli se ne andava al termine di un’agonia che la forte fibra del suo cuore aveva prolungato, l’agonia di un Papa per la prima volta vegliata dal mondo intero. Al termine della Messa in piazza San Pietro, d’un tratto la stanza semibuia alla quale da giorni in molti volgevano lo sguardo – mentre lassù quelli del Papa fissavano il Crocifisso davanti al suo letto – si illuminò. E la gente capì che il Santo Padre era morto. « Il Papa della bontà è spirato religiosamente e serenamente nel suo appartamento, dopo aver ricevuto i Sacramenti di santa romana Chiesa», così lo speaker di Radio Vaticana, la cui voce risuonò attraverso gli altoparlanti in una piazza San Pietro gremita e stretta in un impressionante silenzio.

Una bella morte – se così si può dire – avendo egli imparato ad amare davvero la vita, pur tenendo – come diceva – «le valigie sempre pronte», rendendosi «familiare il pensiero» del possibile distacco, « pronto a partire per la eterna vita» abbandonandosi con totale fiducia alla «grande misericordia del Signore Gesù».

L’articolo completo è su Avvenire

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