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mercoledì, 8 Maggio, 2024

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Il Libano, un paese in agonia. Crisὶ economica, finanziaria, sanitaria e insicurezza nazionale.

Il 17 ottobre 2019 è scoppiata una rivolta popolare, la scintilla che l’ha provocata è stata la decisione, da parte del governo, di imporre una tassa di 6 dollari sull’uso dell’applicazione ‘gratuita’ Whatsapp. C’è da spiegare che questa tassa è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, dopo vari aumenti che il governo aveva iniziato a imporre al popolo libanese, come l’aumento della benzina, dell’IVA, delle bollette della luce, acqua e gas.

I libanesi erano anche stanchi delle promesse non mantenute da parte dei ministri, specialmente il ministro dell’Energia e dell’Acqua che per 15 anni prometteva di fornire la luce 24/24 ore, ma questa promessa è tutt’ora inchiostro sulla carta.

Sono ormai parecchi anni che i giovani laureati emigrano, perché il Paese non offre loro sbocchi lavorativi adeguati, la disoccupazione ha raggiunto un livello molto alto.

La rivolta ha visto in strada i libanesi uniti sotto tutti gli aspetti, c’erano i maggiori rappresentanti religiosi di tutte le fazioni, attori e cantanti, e gruppi di tutte le categorie lavorative che rappresentano il ceto sociale libanese. Tutti scesi a protestare contro la classe politica corrotta che ha provocato la crisὶ nel Paese.

A seguito di questa protesta il governo di Saad Hariri (Presidente del governo) si è dimesso, ma la lira libanese ha iniziato a svalutarsi rispetto al dollaro che è passata da 1500 L.L. contro 1 dollaro, fino a raggiungere attualmente 9000 L.L. Le banche hanno limitato le somme da prelevare dai conti correnti specialmente quelli in dollari ed Euro.

Da marzo 2020, non si può più prelevare alcuna somma in valuta straniera, mentre le banche cambiano 1 dollaro a 3900 L.L., al mercato nero 1 dollaro vale oggi 9000L.L. Sempre a marzo lo Stato libanese doveva rimborsare alle banche le obbligazioni che aveva in debito, ma questo non è avvenuto. I paesi che aiutavano lo Stato finanziariamente, come l’Arabia Saudita e la Francia, con la crisὶ e le dimissioni del governo si sono rifiutati di aiutare ancora politici corrotti e mal visti dal popolo.

Infatti si è scoperto che alcuni politici, malgrado la crisὶ finanziaria nel Paese, hanno trasferito i loro soldi all’estero specialmente in Svizzera, mentre alle famiglie con figli che studiano all’estero non era permesso trasferire la somma in valuta straniera per coprire le spese universitarie, vitto e alloggio, costringendo gli studenti a tornare a casa. Chi non aveva la possibilità di farlo cercava un alloggio da amici o parenti oppure si rivolgeva direttamente all’Ambasciata Libanese.

La crisὶ finanziaria è aggravata ulteriormente dal contrabbando che avviene alla frontiera con la Siria, la quale a causa dell’embargo imposto dagli Stati Uniti cerca di introdurre nel proprio paese gasolio, benzina e farina. Il traffico illegale ha diminuito le riserve della Banca Centrale libanese.

Messo già in ginocchio dalla crisὶ finanziaria, il Paese dei Cedri ha iniziato ad affrontare problemi anche nel settore sanitario. Verso la fine di febbraio 2020, è stato identificato il primo caso di Covid-19 e da allora il virus ha iniziato a diffondersi perché le misure di sicurezza, adottate dal nuovo governo (imposto senza elezioni) con Hassan Diab come Presidente, non erano all’altezza della situazione. L’aeroporto è rimasto attivo, non è stata imposta la quarantena immediatamente. I passeggeri in arrivo non erano controllati adeguatamente e mancavano le misure di sicurezza.

Le strutture ospedaliere non sono attrezzate per affrontare un virus come il Covid-19, in più la gente non essendo ben informata, non ha preso sul serio la sua pericolosità. Il numero dei contagiati ha cominciato a crescere velocemente.

Il culmine è arrivato il 4 Agosto 2020, quando un’esplosione avvenuta al porto di Beirut ha distrutto mezza capitale causando la morte di circa 200 persone, 6000 feriti e 300 mila sfollati.

Questa esplosione è stata classificata dagli esperti come la terza esplosione / una delle più grande al mondo, dopo Hiroshima.

Dopo la devastazione dei quartieri adiacenti al porto e del centro storico di Beirut, nessun rappresentante del governo si è fatto vivo per consolare o aiutare la gente che ha perso sia un membro della famiglia che la casa. Grazie all’aiuto fornito dalle Organizzazioni non governative  le persone hanno potuto trovare un lieve sollievo per la perdita subita.

Solo dopo l’arrivo del Presidente francese Macron, sceso in strada tra gli abitanti dei quartieri distrutti dall’esplosione, per dimostrare la solidarietà e l’affetto verso il popolo libanese ritenuto da anni fratello del popolo francese, il Presidente della Repubblica Michel Aoun ha fatto un giro al porto senza degnarsi di incontrare i parenti delle vittime.

Dopo circa un mese dall’esplosione al porto il governo di Hassan Diab si è dimesso lasciando il Paese fino ad oggi in attesa di un ulteriore governo.

Sono trascorsi 6 mesi e le indagini per scoprire chi c’è dietro questo disastro sono ancora in alto mare, malgrado le autorità libanesi avessero promesso che entro 5 giorni la verità sarebbe venuta a galla.

Saad Hariri è stato incaricato di formare un nuovo governo ma gli attriti tra l’ex Presidente del Consiglio e l’ex ministro Gebran Bassil (genero di Aoun) non permettono che questo avvenga. La situazione del paese è disperata perché la soluzione è ancora lontana. Il ceto medio è dimezzato e il livello di povertà è aumentato del 55%. Tante ditte e Società libanesi e straniere hanno chiuso le loro imprese definitivamente.

Ultimamente sono avvenuti degli attentati a persone ritenute pericolose, come un ex doganiere che è stato interrogato dal Procuratore Generale, e che ha fornito informazioni sul nitrato di ammonio, immagazzinato in modo improprio, e che ha causato l’esplosione al porto.

Un fotografo dilettante ucciso davanti a casa sua pochi giorni prima di Natale perché accusato di vendere a delle Agenzie straniere delle foto ritenute compromettenti da parte degli assassini fatte subito dopo l’esplosione al porto giovedì 4 febbraio si è unito alla lista delle vittime un giornalista e attivista musulmano sciita che criticava apertamente la posizione politica filo siriana e filo iraniana del Partito di Dio (Hezbollah).

Secondo la maggioranza dei libanesi l’unica soluzione per uscire dalla crisὶ sono le elezioni legislative anticipate, ma la classe politica rifiuta questa soluzione perché non riscuote più la fiducia del popolo e quindi ha paura di perdere.

 Il popolo libanese, sia in patria che all’estero non voterà più le stesse persone che per 30 anni hanno governato e distrutto il Paese.

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