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domenica, 19 Maggio, 2024

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“Questione minorile: così lo Stato tradisce sè stesso” di Giovanni Melillo

Giovanni Melillo, procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, è intervenuto riguardo alla questione minorile in occasione del Premio Funzio dello scorso dicembre. 

Il suo contributo inizia denunciando la situazione a Napoli definendola come “esacerbata, incredibilmente aggravata, da una speciale condizione di frammentazione del tessuto sociale e di debolezza delle politiche pubbliche di inclusione e integrazione sociale”, indicatore di “una sorta di effetto di dissolvenza delle promesse costituzionali di eguaglianza e progresso fondative della nostra Repubblica.”

A seguire, spiega che “l’impressionante povertà educativa che segna lo sviluppo dei giovani, l’elevatissimo tasso di dispersione scolastica e la siderale lontananza dei più dalla consapevolezza dei doveri di cittadinanza, non possono ridursi a mero e inevitabile riflesso di disagio familiare e sociale” poiché “è […] il prezzo dell’indebolimento dell’idea stessa che compete alla Repubblica: assicurare l’educazione dei giovani e garantire e promuovere lo sviluppo della loro personalità.”

Il procuratore afferma “siamo abituati a pensare che democrazia e libertà siano beni inconsumabili, ma, se privati del nutrimento dato da educazione, consapevolezza, solidarietà, capacità di ascolto e partecipazione, rischiamo di perderli. Tutto ciò sta già avvenendo e, davvero, credo che la questione minorile, come quella criminale […], siano allarmi potenti, ma inascoltati, di un rischio democratico.”

Ci si concentra poi sulla differenza tra educazione e istruzione dicendo che è della Repubblica il compito di assicurare tali beni e di dividerli in parti eguali, ma nonostante questo, continua, “la realtà rivela come al progressivo arretramento dello Stato nella garanzia dell’istruzione primaria e secondaria corrisponda l’esaltazione del peso delle differenze socio-territoriali, della qualità dei poteri locali, delle infrastrutture e dei livelli di spesa sociale qualificata” e a Napoli la criminalità agisce come “cappa asfissiante”.

“Non sono queste autentiche condizioni di sofferenza della democrazia? Non si intravede la trasformazione dei caratteri della questione mafiosa?“ domanda poi Melillo, proseguendo, “ le mafie sono ormai innanzitutto forza di trasformazione della violenza in ricchezza e della ricchezza prodotta […] in ricchezze sempre più grandi. Sono fattore non secondario dell’alimentazione finanziaria dei mercati d’impresa […]. Cresce così una domanda sempre più pressante di legittimazione sociale delle componenti più raffinate del ciclo mafioso, mentre prevalgono rappresentazioni […] che riducono la questione criminale mafiosa a ordine pubblico, relegandola nei confini della repressione”.

L’uomo continua manifestando la sua preoccupazione riguardo al fatto che “a parlare di questo siano chiamati solo magistrati, questori e uomini di chiesa” e come “le logiche e le dinamiche del crimine organizzato sono ridotte a poca cosa nel dibattito pubblico […].

Melillo fa poi l’esempio di Secondigliano, città del sud un tempo città orgogliosa ora soggiogata da un potente cartello mafioso, nel quale le scelte urbanistiche fatte hanno peggiorato la domanda politica di servizi, educazione, welfare, inclusione e integrazione sociale, divenendo una delle principali cause  della questione criminale e della devianza giovanile. Molte persone che studiano o lavorano nel centro di Napoli se richiesti di dire dove abitano, mentono, per evitare di essere discriminati.

“Cosa c’è di più lontano di ciò dalla promessa di uguaglianza inscritta nel patto costituzionale?”


Fonte: https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2023/01/22/questione-minorile-cosi-lo-stato-tradisce-se-stesso/6944342/#:~:text=A%20Napoli%2C%20la%20questione%20minorile,di%20inclusione%20e%20integrazione%20sociale.

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