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domenica, 28 Aprile, 2024

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“Riforma Cartabia e Diritto all’Oblio: la nuova tutela rafforzata” di Maddalena Boffoli

L’evoluzione e l’utilizzo delle tecnologie informatiche hanno determinato un mutamento radicale all’interno della società moderna: i social network e le piattaforme digitali hanno permesso una notevole diffusione delle informazioni in tempo reale, abbattendo i confini e superando le barriere spazio-temporali.

Al giorno d’oggi, si parla di reti sociali, in cui tutto è a portata di click. Interazioni tra persone a distanza, smart-working, condivisione delle notizie nel momento stesso in cui i fatti accadono, aziende che sfruttano le nuove tecnologie per promuovere la loro immagine, sono solo alcuni esempi della vasta rivoluzione che chiamiamo Era Digitale.

Eppure, però, ciò ha causato un’invadenza nel web, fornendo a chiunque libero accesso a commenti, foto, o talvolta documenti di un individuo, il quale lascia, quindi, delle tracce permanenti su Internet, difficili da rimuovere.

Per questo motivo, le normative e la giurisprudenza hanno garantito la tutela dei soggetti attraverso il diritto all’oblio, appartenente alla macro-categoria del diritto alla privacy: uno dei temi di maggior interesse del momento, seppur se ne parli solo da qualche anno.

Nonostante non vi sia una definizione generalmente riconosciuta di diritto all’oblio, l’orientamento prevalente della dottrina l’ha definito come “il diritto a che i fatti, pure pubblici, attinenti ad un soggetto, con il decorso del tempo cessino di avere tale qualità”.

Nasce dall’espressione inglese “right to be left alone” e riguarda l’interesse di un soggetto a non rimanere esposto, per un tempo indeterminato, al pregiudizio derivante dalla reiterazione della pubblicazione di una notizia che cagioni un danno al suo onore e alla sua reputazione, se non correttamente aggiornata o, comunque, contestualizzata.

Il diritto all’oblio trova il suo principale fondamento nell’art. 17 del Regolamento Europeo 679/2016, noto comunemente come GDPR, il quale prevede che l'interessato abbia il diritto di ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati personali che lo riguardano, e determinando in capo al titolare non solo l’obbligo di cancellare i dati senza ingiustificato ritardo, al ricorrere delle condizioni individuate al comma primo, ma anche l’obbligo di informare della richiesta di cancellazione altri titolari che trattano i dati cancellati. Una tutela concreta che, però, spesso si contrappone ai diritti di cronaca e libertà di manifestazione del pensiero. In tal senso, si richiama l’ordinanza della Suprema Corte di Cassazione n. 9147 del 2020, che ha precisato il bilanciamento tra il diritto all’oblio “con l'interesse pubblico alla conoscenza del fatto, espressione del diritto di manifestazione del pensiero, e quindi di cronaca e di conservazione della notizia per finalità storico-sociale e documentaristica, e [il titolare] può trovare soddisfazione, fermo il carattere lecito della prima pubblicazione, nella “deindicizzazione” dell'articolo sui motori di ricerca generali, o in quelli predisposti dall'editore”.

Recentemente, il diritto all’oblio è stato soggetto ad alcune specifiche apportate dal legislatore italiano.

La Riforma Cartabia, con il comma 1, lettera h), dell'art. 41, del D.Lgs. n. 150 del 2022, ha introdotto il nuovo art. 64 ter delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, che include nell’ordinamento il diritto all'oblio dell'indagato e dell’imputato. In particolare, si stabilisce che la persona nei cui confronti sono stati pronunciati una sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere ovvero un provvedimento di archiviazione, può richiedere che sia preclusa la “indicizzazione” o che sia disposta la “deindicizzazione” sulla rete internet dei dati personali riportati nella sentenza o nel provvedimento, ai sensi e nei limiti dell'art. 17 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016.

Nello specifico, la disposizione consente all’interessato di esercitare il proprio diritto all’oblio mediante due tutele: la tutela preventiva consistente nella preclusione della “indicizzazione”, ossia dell’inserimento del contenuto nei database dei motori di ricerca, ovvero una cautela volta a mitigare gli effetti derivanti dalla pubblicità della pronuncia giudiziale; e la tutela successiva della “deindicizzazione”, che rende il contenuto non direttamente accessibile tramite motori di ricerca esterni all’archivio in cui lo stesso si trova, fondata sul diritto alla riservatezza, dignità e, soprattutto sulla presunzione di innocenza. La giurisprudenza della Cassazione e della Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha stabilito l’impossibilità di imporre alle testate giornalistiche la definitiva rimozione degli articoli collegati ad un determinato nome. Pertanto, l’unica soluzione effettivamente perseguibile consiste, quindi, nel non mostrare nei motori di ricerca le notizie di cui l’interessato ne ha richiesto l’oscuramento.

Ed infatti, il secondo comma dell’art.64 ter disciplina la richiesta volta a precludere la “indicizzazione”, secondo cui la cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento, vi appone e sottoscrive l’annotazione: «Ai sensi e nei limiti dell'articolo 17 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, è preclusa l'indicizzazione del presente provvedimento rispetto a ricerche condotte sulla rete internet a partire dal nominativo dell'istante».

Il terzo comma, invece, regola la richiesta volta ad ottenere la “deindicizzazione”, per cui la cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento, vi appone e sottoscrive l’annotazione: «Il presente provvedimento costituisce titolo per ottenere, ai sensi e nei limiti dell'articolo 17 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, un provvedimento di sottrazione dell'indicizzazione, da parte dei motori di ricerca generalisti, di contenuti relativi al procedimento penale, rispetto a ricerche condotte a partire dal nominativo dell'istante».

La disposizione non individua come organo competente il Giudice, bensì la Cancelleria. Tale scelta del legislatore dovrebbe garantire una maggiore celerità dell’operazione, nonché la notifica del provvedimento ai titolari ed ai motori di ricerca.

È doveroso puntualizzare, comunque, che la disciplina si riferisce solo ai procedimenti e ai processi con esito favorevole per l’indagato o imputato. Non concerne, quindi, i casi in cui la persona sottoposta alle indagini venga poi rinviata a giudizio e successivamente condannata; pertanto, resta fermo quanto previsto dall’art. 17 del GDPR.

Alla luce di questa modifica legislativa, si parla di diritto all’oblio rafforzato: la Riforma Cartabia, introducendo il nuovo art. 64 ter delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, ha costituito un passo in avanti nella protezione e salvaguardia dei dati personali, seppur al momento riferita solo ad una cerchia ristretta di soggetti. Non mancano critiche alla disposizione, soprattutto poiché non è ancora chiaro quale sia l’iter da seguire una volta ottenuta l’annotazione, se il ricorso al Giudice o al Garante Privacy, o la possibilità di impugnare il provvedimento, o ancora la possibilità di ottenere coattivamente la preclusione alla “indicizzazione” o “deindicizzazione” da parte dei motori di ricerca. Al fine di rispondere a tali quesiti, non resta che osservare l’effettiva applicazione della nuova disciplina, nonché i futuri orientamenti derivanti dalle pronunce della giurisprudenza.

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