20.5 C
Roma
sabato, 4 Maggio, 2024

fondato e diretto da Paola Severini Melograni

Newsletter Angelipress.org 30 settembre 2010

Abbiamo ricevuto una splendida lettera di una giovane dottoressa italiana che scrive a suo padre per raccontargli la sua esperienza in Congo grazie al progetto sostenuto dallENI.

 

Una lettera che ci ha profondamente colpiti ed emozionati, e che vi riportiamo senza aggiungere commenti superflui.

 

Ciao pap,

 

se vuoi sapere come mi trovo ti racconto subito cosa mi successo all’arrivo.
Ero arrivata in Congo da tre giorni, e ancora non sapevo assolutamente niente di questa terra, vedevo solo tutte facce nere, solcate dalla fatica e dalla fame. Era il mio primo giorno di lavoro, all’ospedale militare. Mi dicono questa la stanza dove consultiamo le donne: uno stanzino di neanche dieci metri quadrati con 6 persone all’interno tra medici infermieri e donne con bambini. All’esterno 39 gradi, l’umidit rendeva le pareti del piccolo stanzino bagnate, le mosche si appoggiavano sulla pelle inzuppata di sudore.

 

Dopo un paio di ore in mezzo alla confusione vedo arrivare una donna, che si copre il volto con ilpagne, secca secca, solo una piccola curva prominente a livello dell’addome fa supporre che sia una donna incinta. Chiede di essere visitata perch seguita dal progetto ma stata ricoverata in ospedale.

 

Io e la mia collega Eva decidiamo di farla passare prima delle altre, le scansiamo ilpagnedal volto e vediamo lembi di pelle che si stanno staccando dalle sue labbra, dalle palpebre, dalla fronte.

 

Il corpo tutto piagato, gli occhi edematosi e purulenti, le labbra talmente gonfie che non riesce a parlare.

 

Intuitivamente la diagnosi una Leyll, da nevirapina. La donna, Annie, che fa la meccanica per guadagnarsi da vivere, ci dice che ricoverata in un altro ospedale da circa una settimana, ma che le lesioni sono iniziate da circa due settimane e che continuano a peggiorare.

 

Inizialmente non era andata in ospedale, ma dalfeticher; pensava infatti che fosse unfetiche(il malocchio) e ha cercato di farselo togliere. Intanto la situazione peggiorava ma ha dovuto aspettare per racimolare un po di soldi per potersi permette il ricovero in ospedale.

 

Ci assicura che stata brava, ha continuato a prendere la terapia che noi le avevamo dato per salvare il bambino, e che l’ha finita solo il giorno prima, ed per questo che venuta da noi.

 

Io e Eva ci guardiamo negli occhi e tutte e due intuiamo perch si ridotta cos: non ha interrotto la terapia.

 

Perch non venuta prima?, le chiediamo allunisono.

 

Ci spiega che non poteva dire ai parenti di andare daiMundele(i bianchi in linguamonokutuba), altrimenti avrebbero scoperto il segreto della sua sieropositivit!

 

Iniziamo immediatamente i trattamenti necessari: alcune piaghe sono gi in fase di cicatrizzazione ma sono gli occhi che destano grave preoccupazione, oltre al forte bruciore non vede bene.

 

Non so proprio da chi farla visitare, noi qui cerchiamo di arrangiarci non siamo proprio degli oculisti, e sopratutto non sappiamo di chi poterci fidare.

 

Decidiamo di portarla nella clinica pi rinomata della citt e di darle un po di speranza perch si abbandona e si mette si piangere dal dolore e dalla disperazione. Le dico che ci siamo noi, che ci prenderemo cura di lei, del suo bambino ma evidente il suo terrore: ha paura di essere scoperta dalla sua famiglia, ha anche paura che possa succedere qualcosa al suo bambino.
Annieesi riprende, viene da noi una volta a settimana, sta meglio, gli occhi le bruciano ancora ma con il collirio va meglio, fino a che un giorno mi dice che si sente qualcosa di strano alla vagina: “ne s’ouvre pas, ne s’ouvre pas” continua a ripetere.

 

Alla prima consultazione le piaghe avevano interessato anche la mucosa vaginale, le avevo dato anche il betadine ginecologico per disinfezione e avevo cercato per tutta la citt una pomata steroidea, ma i nomi commerciali dei farmaci in Congo sono diversi e tutti i farmacisti mi guardavano increduli quando parlavo di steroidi, non capivano…

 

La visito e capisco cosa vuole dirmi: le piccola labbra a causa delle sinchie si ero chiuse, appiccicate, erano diventate un tutt’uno… Ci vuole un’incisione, penso, poi guardo Eva, guardo il ventre di Annie e penso, fra qualche giorno scade il termine, deve partorire e come fa con la vagina ridotta in questo modo? Chiamo telefonicamente Francesca, la responsabile del progetto, che in quel periodo era tornata in Italia, per chiedere consiglio. Secondo noi deve fare un cesareo, ma devo trovare un ginecologo fidato che la visiti.

 

Un parto cesareo in Congo non uno scherzo, la sterilizzazione delle sale parto una barzelletta e il tasso di mortalit per infezioni post chirurgiche molto alto. Inoltre la maggior parte dei ginecologi quando vedono affacciarsi la possibilit di un cesareo, non indugiano, vedono soldi, soldi pi che si aggiungono al loro misero stipendio, e allora perch non farlo?

 

Mi serve una persona di fiducia, non voglio mettereAnnienella mani di un macellaio che fa il cesareo solo per arrotondare lo stipendio…

 

Ed cos che la accompagno all’ospedale pi nuovo (si fa per dire) della citt. li la visita una ginecologa alta, grossa, imponente che, al termine della visita mi dice: Oltre alle sinechie delle piccole labbra, c’ una necrosi diffusa a tutta la vagina; se partorisce per via vaginale rischia la morte per emorragia, i punti di sutura non possono reggere su una cute cosi necrotica e friabile.

 

Anniemi guarda, non capisce. In quella piccola stanza siamo io, lei, e la ginecologa. Mi implora di aspettare, ha paura, non vuole fare il cesareo, mi chiede di poter fare il parto vaginale, poi se qualcosa non va, far un cesareo di urgenza, guardo la ginecologa in maniera interrogativa, mi risponde no, il rischio troppo alto.

 

Anniecontinua a non essere convinta, provo a parlarlea tu per tu, mi dice che lei non ha i soldi, e le rispondo di stare tranquilla, dal punto di vista economico sar il progetto italiano a farsene carico, ma non basta, le dico di fare la visita nestesiologica cos siamo pronti a qualsiasi evenienza.

 

Si allontana smarrita avviandosi alla nuova visita, e non dice pi niente. Io la aspetto nervosa,ho paura che forzarla non sia giusto, ma devo fidarmi della ginecologa, non si pu lavorare da soli e questo non il mio campo, mi ripeto.

 

Quando esce con un’occhiata furtiva, mi fa capire che vuole parlarmi, ma lontana da li, da occhi indiscreti che potrebbero capire che la mia presenza possa far pensare alla sua sieropositivit.

 

Allora mi allontano e mi dirigo verso la macchina; lei sa dov’ parcheggiata, era venuta con me, anche se l’avevo fatta scendere all’ingresso posteriore dell’ospedale (sempre per non dare nell’occhio!). Ci vediamo alla macchina e, mentre provo nuovamente a spiegarle l’importanza del cesareo, a dirle che la sua gravidanza a termine, che potrebbe partorire da un momento all’altro, che un cesareo d’urgenza gravato da molte pi complicanze, che meglio organizzarsi prima, che non si deve preoccupare perch avrei comprato tutti i farmaci necessari per la mattina dopo, mi dice che ha visto una persona in ospedale e se posso parlarci io. Le chiedo: Chi ?. E mio fratello, medico e lavora in quell’ospedale.

 

Parlo con il fratello, cordialmente provo a spiegargli la situazione, ma vedo una certa resistenza nei suoi occhi. ha capito ma ha gi deciso, non mi ascolta, e mi congeda dicendomi: “Dio grande, non possiamo credere di essere pi grandi di lui, sar quello che Dio vuole, mia sorella partorir per parto vaginale, sar Dio a decidere la sua sorte!.

 

Entrambi mi salutano e si allontanano, io mi appoggio alla macchina incredula, mi accendo una sigaretta, ho bisogno di riprendermi, non ci credo, mi sento impotente, inutile. Quella donna rischia di morire di parto come tante in Africa che non hanno i soldi per permettersi il cesareo. Lei che potrebbe perch supportata da noi, non vuole, non possibile. A causa del ritardo nella diagnosi dovuto alfeticher ridotta in questo stato e ora non vuole ancora capire. Demoralizzata e scoraggiata, salgo in macchina e mi avvio verso casa, penso di essere stata chiara conAnnie, le ho detto e ripetuto: Pensaci bene e stasera chiamami, io comunque compro tutto il necessario!. Il telefono non suona, ed io aspetto. Eva, la mia collega, sta facendo le valigie, domani lascia il Congo, mi vede assorta e preoccupata: Pensi adAnnie?. Si, non posso accettare di essere cosi impotente!. Eva pratica, prende il telefono e la chiama. Sono le nove di sera, alle prime due chiamate non risponde, alla terza risponde e dice che ci sta pensando, che ne ha parlato con la madre, e che ci richiamer domani mattina. Sperando che il piccolo non decida di venire al mondo proprio quella notte, d’altrondeAnnieha deciso di chiamarloSagesse
Al mattino chiedo ad Eva seAnnieha chiamato, niente, va beh, non posso cambiare il mondo, forse come dice il fratello sar quel che Dio vuole, Ho una grande amarezza.

 

Ma mentre sono tuffata dentro dentro le diecimila questioni di ogni mattina, suona il telefono, leie mi dice: Va bene, facciamo il cesareo,j’ai confiance en toi!. Vado di corsa in farmacia a comprare dagli aghi di sutura ai farmaci anestetici, e poi in ospedale dove incontroAnnie,la mamma e un altro loro parente che non capisco bene chi sia, in una stanzetta isolata.

 

Consegno tutti i sacchetti con i farmaci ma avverto una strana sensazione nell’aria: la ginecologa, che il giorno prima era molto disponibile, mi dice che c’ un problema e che quel giorno non la possono operare. Il problema che quel giorno il 30 aprile, il giorno dopo ci sarebbe stata la festa dei lavoratori, e poi la domenica, in cui si fanno solo le urgenze. Ma come? abbiamo convinto la donna e ora rischiamo di farla partorire in urgenza?, che diavolo di problema c’ oggi?.

 

La sterilizzatrice rotta e non abbiamo teli sterili per la sala operatoria, mi risponde. Resto in attesa, lunga due ore, nel frattempo tutte lesage femme, allertate del possibile cesareo mi chiedono come devono comportarsi, come devono fare i farmaci antiretrovirali. Mi imbarazza dover tenere una piccola lezione pratica per spiegare loro come utilizzare l’AZT, e come fare la profilassi al bambino. Dopo due ore di attesa il primario della ginecologia dice che non possibile operarla quella mattina, o aspettiamo o la portiamo da un’altra parte. Non so che fare,Annienon vuole pi andare via da li, mi dice: E dove mi porti?. Non lo so dove portarla ma ho il sospetto che non la vogliano operare perch sieropositiva, se la lascio li c il rischio che inizi il travaglio e nessuno la operi.
Mi prendo la responsabilit di portarla all’ospedale militare. Non ho un buon rapporto con i medici di quellospedale, tantomeno con i ginecologi, per lavoriamo li da anni, ed io conosco lesagee conosco il colonnello, decido di chiedere a lui. Quando lo dico adAnnie, rivedo nei suoi occhi il terrore: Perch?, tutto da capo, una altra visita, una altra decisione, un altro ospedale , e poi qui c’ mio fratello Le spiego che non vedo altra soluzione e che debbono venirmi dietro a distanza.Mi allontano di un centinaio di metri,Anniee la mamma mi seguono, in maniera furtiva si infilano in macchina, le porto all’ospedale militare e speriamo bene…
Quando arrivo per fortuna c’Denise, lasageche collabora con noi. Mi dice che stanno facendo uncesareo ad una donna arruolata nel nostro progetto, che non c’ problema, ne faranno un altro, mi da l’ordonnance per il necessario (ovviamente diverso da quello che mi avevano chiesto nell’altro ospedale) e vado nuovamente in farmacia a comprare il necessario.

 

Quando torno e vado verso la sala parto vedo da lontanoDeniseche si sbraccia, cerca di parlarmi ma non capisco perch quando si emoziona, o si arrabbia, balbetta e diventa incomprensibile. La faccio calmare e mi spiega che i ginecologi hanno deciso di bloccare tutti e due i cesarei del progetto per un problema di divisione di soldi tra ginecologi e anestesisti. Non fanno i cesarei perch non si accordano su come dividere il compenso ed tutto rimandato a luned.

 

Non possibile! non posso crederci!, cosa faccio ora? Denise mi propone di provare in un altro ospedale, No! mi rifiuto, questa donna non pu subire di nuovo lo spostamento in un altro ospedale! in pi ce ne un’altra a partorire che ha le membrane rotte: C il rischio altissimo di contaminare il bambino, gi in flebo con la profilassi, come faccio a portare tutte e due in un altro ospedale?, e poi dove?, ormai pomeriggio, il primo maggio si avvicina, il week end inizia, che faccio?.

 

Decido di andare a parlare con il colonnello. Vedo uscire dalla sua stanza ginecologi ed anestesisti, ed appena il colonnello mi riceve lui stesso a dirmi: Dottoressa non si preoccupi, ho detto loro che in mezz’ora voglio che la questione sia risolta!. Tiro un sospiro di sollievo, anche se ormai mi sembra che le cose si siano messe male: Con che umore i ginecologi opereranno quella donna e gli anestesisti la addormenteranno?. Preferisco non pensarci, ormai sono qui e non posso fare altrimenti, maledico questa terra, e il loro Dio denaro.
Il primo cesareo inizia alle 16. E dalle 8 del mattino che sono in giro, decido di andare a casa, arecuperare le energie, mi sento sfibrata. In un’ora sono di nuovo l, entro in sala parto. Lasage femmemi dice che hanno appena iniziato il secondo, quello diAnnie. Stringo i denti, speriamo bene! Esco fuori e fumo unaltra sigaretta e mi avvicina una bimba di sette-otto anni, con occhi teneri mi guarda e mi chiede: Come sta la mia mamma?. E l’altra figlia diAnnie, le dico di non preoccuparsi che sta andando tutto bene e si siede accanto a me ad aspettare. Dopo dieci minuti rientro in sala parto; il bambino nato, ancora tutto sporco, una primasagemi dice che sta bene, ma mentre esco per dirlo alla bimba, una secondasagemi chiama urlando, mi dice che il bimbo in sofferenza respiratoria e che ha bisogno dello steroide, il bimbo non respira. Corro verso il nostro magazzino che per fortuna li vicino, sono sicura che deve essercene una scorta di riserva, non avrei il tempo per andare in farmacia, per fortuna la trovo, glielo iniettiamo subito e il bambino inizia a respirare. Le gambe mi tremano…

 

Annieesce dalla sala operatoria, si risvegliata, sta bene, le dico che dobbiamo trasferire il bimbo in rianimazione perch lo steroide lo ha fatto respirare, ma non sta ancora bene. Intanto mi chiedo se forse lo abbiamo fatto nascere troppo presto, non lo so ma so che questa l’Africa. Cos faccio qualche cosa di pratico, vado a comprare il latte per il bimbo,Annienon potr allattarlo e la rianimazione in un altro ospedale. E sera e vado a casa sfinita.
Il bimbo diAnniesi salvato, si chiamaSagesse, anche se un maschio,ora ha tre mesi e sta abbastanza bene, ma la sua storia continua e il resto te lo racconto nella prossima mail.

 

Sono legata a questa donna in maniera particolare, un po perch la stimo, fa la meccanica con il suo corpo esile, fragile, piagato, ma ha l’onest di non chiedere mai pi del necessario (cosa rara in Congo), ed ha la capacit di parlarti con gli occhi; un po perch mi ha fatto concretamente conoscere la realt africana con un impatto forte.

 

La sera del suo cesareo sono tornata a casa pensando: o domani prendo il primo volo e me ne torno in Italia, o decido di buttarmi in questa avventura, c’ veramente bisogno e forse posso farcela.

 

Un bacione

 

Giulia

 

 

Le notizie di oggi su Angelipress.org:

 

Auguri a Jean Daniel

 

Il CeIS di Roma al congresso delle CT di Genova

 

Onna: tre regole per vivere anche dopo il terremoto

 

ARTICOLI CORRELATI

CATEGORIE

ULTIMI ARTICOLI